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Dolcem, una storia dolcissima lunga 70 anni: a Modena un’eccellenza del cioccolato


	La famiglia Berni e le uova di cioccolato Dolcem
La famiglia Berni e le uova di cioccolato Dolcem

In via Scanaroli la fabbrica di cioccolato amata da grandi e piccini. Il racconto del “Willy Wonka” Paolo Berni: «Mio padre la fondò dopo la guerra in Russia. Negli anni ’60 capimmo che le uova non bastavano e ci siamo espansi»

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MODENA. Che Modena fosse una delle capitali dell’agroalimentare italiano è un fatto: non c’è bisogno di fare l’elenco delle eccellenze di casa nostra. Che tra queste eccellenze ci sia anche il cioccolato è cosa meno nota, anche se basta andare dalle parti di via Scanaroli, in città, a Pasqua o a Natale, per verificare che anche a Modena c’è una fabbrica di cioccolato gradita a grandi e piccini. È la Dolcem, realtà arrivata ormai alla terza generazione, con tanto di Willy Wonka, alias Paolo Berni, che da quasi 40 anni, assieme a tutta la famiglia, tiene viva una storia di impresa nata negli anni ‘50.

Il racconto
«Un’avventura – racconta Paolo – iniziata con la ritirata russa, dove mio padre Walter era camionista nella Armir, uno dei pochi a ritornare a casa in modo anche drammatico, se si pensa che attraversò il Po aggrappato ad un tronco. Poi, dopo alcuni anni da dipendente, la decisione di mettersi in proprio con mia madre Dina Luppi».
Ma perché nel settore del cioccolato? «Fu una cosa casuale: aveva sentito di un’azienda reggiana, il Dolcificio Emiliano, che vendeva attrezzature e i miei genitori decisero di comprarle, iniziando a spignattare proprio qui, nell’attuale sede della Dolcem. Che non ha questo nome a caso: è la crasi di quello dell’azienda da cui acquistammo non solo le prime cose, ma anche i primi consigli».

Dagli anni Sessanta a oggi
Una vera e propria scommessa, una forma di rivendicazione sociale ed economica che è stata alla base della crescita dell’economia modenese del dopoguerra.
«Sono gli anni ’60, quelli del boom, e le cose iniziano ad andare bene. Tanto da permetterci di fare le prime assunzioni e di allargarci acquistando i fabbricati confinanti, casa compresa», mentre la Dolcem consolida le proprie ricette e la propria produzione, incentrata sulle uova pasquali. Intanto Paolo si avvicina all’azienda di famiglia, entrandoci definitivamente intorno agli anni ’70, dopo avere frequentato per un paio di anni medicina: «Sono anni in cui il mercato delle uova inizia a mostrare i suoi limiti. Contro il parere dei miei genitori, iniziamo a sviluppare prodotti alternativi, in particolari quelli natalizi, ai quali, successivamente, si aggiungono quelli a tema Halloween e San Valentino. Contemporaneamente introduciamo le prime automazioni. È il momento della svolta, che arriva assieme ai cambiamenti distributivi imposti alla Grande distribuzione».

L’attività in numeri
Che, peraltro, non è mai stata il mercato della Dolcem: «In effetti noi produciamo innanzitutto per il terzo settore, cioè per quelle realtà che il nostro prodotto lo vendono per raccogliere fondi. Chissà, forse anche grazie a quell’etica a cui di ispiriamo nella nostra attività, dal rispetto delle normative alla soddisfazione dei dipendenti, senza dimenticare le materie prime». In effetti, in Dolcem gli aromi sono solo naturali, la cioccolata è quella vera arriva dall’Africa e dal Sudamerica, (120 tonnellate all’anno, quello che serve per produrre centomila uova…), il tutto per una produzione che ha delle caratteristiche precise (ad esempio, di temperatura: 28 gradi, non uno di più, non uno di meno, è ciò che serve per lavorare questo squisito prodotto. Apprezzato anche all’estero, anche se un po’ casualmente. «Ormai da anni esportiamo 2mila uova in Paraguay, che una dottoressa locale specializzatasi qui con Aseop, vende per raccogliere offerte per il suo ospedale».

La famiglia al centro
Si diceva di un’azienda che rimane familiare: «Accanto a me c’è sempre mia moglie Antonella, che segue il negozio al minuto e ora i nostri figli, Lorenzo e Alberto. Non tutto è stato facile: la pandemia, poi la crisi delle materia prima, energia e imballi, ora le multinazionali del cioccolato, che facendo cartello hanno causato un aumento del 300%. I margini sono davvero ristretti, tanto da aver rallentato il trasferimento in un nuovo capannone che abbiamo già acquistato sempre qui, in città, ma teniamo botta e guardiamo avanti». E Cna? «Siamo associati da sempre e siamo molto soddisfatti dell’assistenza che ci viene garantita. Ma ciò che ho apprezzato di più, in questi anni, grazie a Cna, è il confronto con i colleghi imprenditori. In Cna si organizzano tanti eventi di network che per me valgono come un master: servono a evitare errori, valutare nuove opportunità. È un’attività di cui si parla poco, ma che per me è stata ed è tuttora estremamente importante».