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L’intervista

Feltri: «Vi spiego perché Musk è nemico della democrazia»

di Ernesto Bossù

	Il giornalista Stefano Feltri e il magnate Elon Musk
Il giornalista Stefano Feltri e il magnate Elon Musk

Il giornalista modenese affronta i temi della tecnodestra e dell’Italia: «Alleanza pericolosa»

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MODENA. Un libro necessario e diverso. Necessario perché, come avrà modo di provare il lettore, tocca tanti piani di estrema attualità e ne fa seguire una efficace analisi. Diverso perché, sebbene ne esistano già svariati, la prospettiva qui proposta è davvero innovativa. Insomma: l’ultimo libro del giornalista modenese Stefano Feltri, «Il Nemico. Elon Musk e l'assalto del tecnocapitalismo alla democrazia», edito da UTET, è da leggere anzitutto per la sua capacità di essere netto.

Feltri, partire proprio da qui, dall’assenza di ambiguità: Elon Musk è il nemico.

«Ci sono già molti libri su Musk, spesso descrivendolo come genio o figura controversa. Io volevo un taglio chiaro, una chiave di lettura forte: non aggiungere aneddoti, ma spiegare perché Musk rappresenta un problema sistemico per la democrazia. Non solo per le sue idee, ma per il potere che ha di attuarle. Ricchezza, controllo su Twitter, satelliti, auto elettriche: elementi che già di per sé pongono interrogativi, ma messi insieme creano una concentrazione di potere inedita».

Lei individua in Musk il punto culminante di un “salto evolutivo” del capitalismo verso una forma tecnocratica post-democratica. Questo passaggio è già compiuto?

«Il salto è avvenuto, ma può ancora essere gestito. Musk non è invincibile: ha debolezze economiche e limiti istituzionali. Ma siamo oltre il capitalismo della sorveglianza: oggi chi controlla l’infrastruttura digitale controlla anche quella reale. Non si tratta più di vendere pubblicità, ma di indirizzare la società. È un cambiamento irreversibile, che richiede nuovi strumenti politici e giuridici».

Scrive che per Musk “la democrazia è un’inefficienza da superare”.

«Musk incarna una visione accelerazionista che porta tutto al limite, per vedere dove si rompe. Non è una teoria astratta, ma una prassi gestionale: spingere le regole al collasso per poi ripartire. Lo fa con le macchine, con i razzi, con le norme. La logica è: se esplode, vuol dire che c’era troppo, si riprova togliendo ancora qualcosa. Ma con la democrazia, l’esplosione ha un prezzo più alto».

“Se Twitter era una repubblica, X è un impero”: Musk ha trasformato una piattaforma in un’estensione del suo potere. Come cambia così la sfera pubblica?

«Twitter è diventato un luogo più polemico, più ideologico, rispetto ad altri social. E ora la mediazione giornalistica è sostituita da un feed personalizzato, il cui algoritmo è controllato dallo stesso Musk. Non basta rimpiangere il passato, bisogna capire come interagire con questa realtà. Scappare su piattaforme come Bluesky non risolve il problema di come far circolare idee nel dibattito pubblico».

Il libro mostra anche l’ascesa di Musk come attore geopolitico: Starlink in Ucraina, Iran, Israele… È ormai una potenza parastatale?

«Sì. Musk decide chi ha accesso a internet nei momenti critici: può accendere o spegnere Starlink come meglio crede. Ha un potere di influenza internazionale che non è mai stato nelle mani di un singolo attore privato. A differenza di aziende come Leonardo, che vendono ma non controllano, lui gestisce direttamente strumenti strategici».

Le interferenze social e il sistema X sollevano una domanda cruciale: può esistere ancora una democrazia se il campo informativo è algoritmico e privatizzato?

«Sì, ma serve un’azione decisa. L’UE ha già strumenti importanti come il Digital Markets Act, il Digital Services Act e il futuro AI Act. Ci sono corti, commissioni, strutture democratiche per contenere le distorsioni. Ma serve consapevolezza politica. Se i governi cercano la simpatia di Musk, come fa quello italiano, si indeboliscono da soli. La democrazia può ancora proteggersi, ma deve farlo ora».

È possibile costruire una nuova agenda politica partendo dall’opposizione a Musk?

«Non si tratta di fondare un partito anti-Musk, sarebbe ridicolo. Ma è una figura troppo rilevante per ignorarla, come non si potevano ignorare Trump o la Brexit. L’antagonismo con Musk deve diventare un’occasione per ridefinire le priorità della sinistra: democrazia, giustizia sociale, diritti digitali. Non bisogna inseguire la destra su tasse o immigrazione, dove ha il vantaggio. Serve una nuova visione».

Nel libro c’è anche una riflessione sull’Italia. Come giudica il comportamento del governo Meloni?

«Il governo italiano è affascinato da questa tecnodestra che Musk incarna. Flirta con lui, ignorando il fatto che le sue posizioni su temi come maternità surrogata, droghe o immigrazione sono incompatibili con le idee della destra italiana. Ma il punto di contatto è ideologico: una visione gerarchica, che vede la democrazia come un ostacolo. Ed è un’alleanza pericolosa».

A poco più di due anni dal voto, vede passi in avanti nell’opposizione?

«Il centrosinistra sta tentando di ricostruire un’identità attorno al lavoro, ma è ancora troppo legato a una cultura novecentesca centrata sul contratto a tempo indeterminato. Su temi come il tecnocapitalismo, la Cina, la crisi globale, non ha proposte forti».

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