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Parola all'esperto

Afa, disagi e malori: modenesi prigionieri delle "isole di calore"

di Francesco Romizi
Afa, disagi e malori: modenesi prigionieri delle "isole di calore"

Le temperature in centro possono superare di due o tre gradi quelle in periferia. Un’enormità: un solo grado in più può fare la differenza per gli anziani ed i malati

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MODENA Nel luglio scorso, mentre Modena registrava picchi termici sopra i 38 gradi, nelle case popolari prive di climatizzazione l’afa era insopportabile anche di notte. In tanti hanno capito, forse per la prima volta in modo tangibile, cosa significa vivere dentro un’isola di calore urbana. E la situazione non è destinata a migliorare.
L’asfalto scotta, l’aria resta immobile, la notte non porta sollievo. Sempre più spesso le città italiane si trasformano in veri e propri forni a cielo aperto. E Modena, purtroppo, non fa eccezione. Le estati degli ultimi anni sono state segnate da ondate di calore anomale e sempre più frequenti, ma ciò che rende queste temperature davvero insopportabili è un fenomeno meno visibile, ma decisivo: le isole di calore urbane.

Il parere degli scienziati
Dietro questa espressione si nasconde un effetto ben noto agli scienziati e, ormai, anche a molti cittadini: in città si soffre di più il caldo rispetto alle campagne o alle zone periferiche. I motivi sono molteplici. Il cemento e l’asfalto assorbono calore durante il giorno e lo rilasciano lentamente di notte. Il verde, dove c'è, è spesso insufficiente. E la ventilazione naturale viene ostacolata da strade strette e palazzi troppo ravvicinati. Il risultato? Quartieri interi che restano bollenti anche dopo il tramonto.

Uno studio del CNR ha mappato la presenza delle isole di calore in tutti i capoluoghi italiani. Il dato è chiaro: non esiste città che non ne sia colpita. A Modena, secondo le rilevazioni satellitari, le temperature nelle aree centrali possono superare di due o tre gradi quelle della cintura esterna. Un’enormità, se si pensa che anche un solo grado in più può fare la differenza per chi è anziano, malato o vive in abitazioni mal isolate.

Cambiamento climatico
A peggiorare il quadro ci si mette il cambiamento climatico. Le ondate di calore – quelle sequenze di giorni in cui il termometro resta costantemente sopra le medie stagionali – sono più lunghe, più intense e più frequenti rispetto al passato. Negli anni ’60 erano eventi rari. Oggi, invece, sono diventate una costante estiva. L’indice WSDI, che misura questi episodi estremi, è in netta crescita da decenni. E le proiezioni non lasciano spazio a illusioni: prepariamoci a convivere con il caldo.
Non si tratta solo di disagio. Si tratta di salute. L’estate del 2003, quella passata alla storia per i suoi picchi termici, provocò in Italia un aumento della mortalità del 19%, colpendo soprattutto anziani e persone fragili. E le stime più recenti indicano che i rischi non sono affatto diminuiti: al contrario, aumentano con l’invecchiamento della popolazione e con la diffusione di malattie croniche. A soffrire di più sono i quartieri densamente edificati, con poca vegetazione e scarsa ombra. Proprio come accade in molte zone di Modena.

Isole di calore
Le isole di calore, infatti, non colpiscono tutti allo stesso modo. Chi ha una casa con un giardino, chi può permettersi un impianto di climatizzazione moderno o chi passa l’estate in vacanza ha strumenti per difendersi. Ma chi vive in una mansarda esposta a sud o in un appartamento al quarto piano senza verde intorno, spesso è costretto a convivere con 30 gradi anche di notte. È in queste condizioni che la salute si piega: si dorme poco, si mangia meno, si aggravano le patologie croniche, si ha bisogno di cure.
Giuseppe Fattori, medico e presidente di ISDE Modena, osserva con preoccupazione quanto accade: «Negli ultimi anni – racconta – abbiamo registrato un aumento di accessi al pronto soccorso e di complicanze legate al caldo estremo, in particolare nei soggetti fragili. Il Comune di Modena, le Aziende sanitarie e le associazioni di volontariato, per far fronte ai disagi legati alle ondate di calore, hanno avviato un progetto molto importante: “Estate sicura 2025”. Ma il problema non riguarda solo la sanità: è una questione di disuguaglianza sociale. Chi vive in zone senza alberi, chi lavora all’aperto o non può permettersi un’abitazione adeguata, subisce un doppio svantaggio. Ecco perché dobbiamo parlare di giustizia climatica, oltre che di salute pubblica».

Il problema
Il problema è che le nostre città sono nate per resistere al freddo, non al caldo. L’urbanistica del novecento ha privilegiato il costruito, spesso sacrificando il verde e impermeabilizzando il suolo. A Modena, come altrove, la crescita edilizia ha spesso trascurato gli effetti microclimatici. E ora paghiamo il conto.
Ma qualcosa si può fare. Gli esperti parlano chiaro: piantare alberi riduce le temperature. Anche solo il 5% in più di copertura vegetale può abbassare la colonnina di mezzo grado. E poi ci sono i tetti verdi, le superfici riflettenti, l’uso di materiali chiari per pavimentazioni e facciate. Ogni dettaglio conta. Anche l’acqua può aiutare: fontane, canalette, vaporizzatori urbani possono spezzare l’afa.
Naturalmente serve anche una nuova idea di città. Una città che non espelle il verde ma lo integra. Che non lascia bollire le periferie, ma investe nella qualità degli spazi pubblici. Che smette di costruire nuovi quartieri senza preoccuparsi dell’albedo (la capacità di riflettere la luce solare) e della ventilazione naturale.

A Modena
Modena, in questo senso, ha già avviato alcuni processi virtuosi. Ma il passo da compiere è ancora lungo. Bisogna aggiornare i piani urbanistici, favorire la de-impermeabilizzazione del suolo, recuperare aree dismesse come spazi di raffrescamento. In centro e nei quartieri, occorrono micro-oasi di ombra, percorsi ciclopedonali alberati, incentivi per trasformare i tetti in giardini sospesi. Serve una mappatura delle zone più calde, per intervenire dove il disagio è maggiore. E non vanno dimenticate le azioni sociali: un piano cittadino per il “calore estremo” dovrebbe prevedere case di quartiere climatizzate, reti di assistenza per gli anziani, fonti di acqua potabile pubblica e campagne informative mirate.
Non si tratta solo di prevenzione, ma – come ricorda Fattori – di equità. Chi vive in case mal isolate, chi non può permettersi l’aria condizionata o chi lavora all’aperto rischia di più. E le politiche pubbliche devono tenerne conto, uscendo dalla logica emergenziale e costruendo soluzioni stabili e strutturali. L’estate che ci attende – e quelle che verranno – ci pongono una sfida chiara: vogliamo continuare a subire il caldo, o vogliamo governarlo? Il cambiamento climatico non si ferma alle porte delle città. Ma dentro le città possiamo decidere come affrontarlo. Un albero, un tetto bianco, una panchina all’ombra non risolvono tutto. Ma sono il primo, necessario, passo verso una città più vivibile. E più giusta.l