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L'intervista

La preside del liceo Muratori-San Carlo va in pensione: «Per 45 anni nel mondo della scuola»

di Gabriele Canovi
La preside del liceo Muratori-San Carlo va in pensione: «Per 45 anni nel mondo della scuola»

Giovanna Morini a settembre lascerà il liceo classico e linguistico modenese: «A servizio della crescita umana e culturale dei ragazzi, è stato un privilegio»

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MODENA. Ripete più volte la parola “privilegio” e dice, con l’emozione negli occhi, di essere «grata per questi 45 anni nel mondo dell’istruzione». Qualche volta si interrompe per asciugarsi una lacrima di commozione, poi torna subito a raccontare aneddoti, come le prime riunioni online con le colleghe docenti ai tempi del Covid, cita il “suo” Don Milani e sottolinea l’importanza «di fare rete con il territorio». Ma, alla fine, il suo sguardo è sempre lì, rivolto agli studenti, al loro contagioso entusiasmo e al tema dell’ansia. Perché «è con i loro occhi, gli occhi dei giovani, che si rinnova il mondo».

La preside saluta
Lei è Giovanna Morini, preside del liceo classico e linguistico Muratori-San Carlo di Modena, e l’1 settembre andrà in pensione dopo 45 anni trascorsi nella scuola. «E pensare che venticinque di questi li ho passati proprio al Muratori-San Carlo: cinque da studentessa, dieci da genitore e, infine, dieci da dirigente scolastica», sottolinea Morini. Ci accoglie nel suo ufficio, al piano terra della sede di viale Cittadella, nel “cuore” del liceo Muratori-San Carlo: è una calda mattina di luglio, gli esami di maturità sono da poco terminati, ma il lavoro, per chi di mestiere fa il dirigente scolastico, non è ancora terminato.

Preside Morini, si chiude un capitolo che definire “importante” è probabilmente riduttivo.
«Per me è stato un grande privilegio, l’idea di abbracciare questo ruolo è nata strada facendo: non me lo sarei mai immaginata. La voglia di insegnare, invece, è emersa fin da subito. Ricordo ancora quando sono entrata in classe per la prima volta a 23 anni, al Guarini. Perché questa scelta? Volevo dare la parola ai ragazzi, volevo mettermi a loro servizio e della loro crescita».

Tredici anni da dirigente in cui ha dovuto affrontare due sfide su tutte: il sisma e la pandemia.
«Ho iniziato proprio nel 2012, al Venturi, e subito abbiamo incontrato l’ostacolo del terremoto. Ricordo, però, come questo terribile avvenimento sia diventato presto un’opportunità straordinaria di rivisitare e migliorare ulteriormente la didattica. Un copione che si è ripetuto nel 2020 con il Covid: come dimenticare le prime riunioni online con i colleghi o i dieci giorni in cui abbiamo fatto di tutto per fare in modo che le lezioni non si fermassero. E infine il Pnrr, con i fondi da investire sull’orientamento, un aspetto fondamentale secondo me. Ecco, dopo ogni crisi il ruolo della scuola si è accentuato».

Adesso, le sfide possono essere l’ansia e la dispersione scolastica.
«Le tante attività che oggi vengono proposte possono essere una risposta a queste problematiche: vorrei dire ai ragazzi che c’è tempo; tempo per “orientarsi”, per scegliere e anche per sbagliare».

C’è una istantanea, una diapositiva, un momento di questi anni a cui è più legata?
«Ho ancora negli occhi l’assemblea di istituto in cui abbiamo avuto l’onore di ospitare Gino Cecchettin: ho la pelle d’oca se ripenso all’applauso degli studenti delle classi quinte e alla sala del cinema piena. C’è un suo messaggio, tra i tanti, che mi è rimasto più impresso: la necessità di lavorare sulla riconciliazione tra ragazzi e ragazze. Ecco, penso che la scuola possa fare tanto in questo senso».

Non a caso si parla tanto del tema di introdurre un’ora di educazione affettiva.
«Dobbiamo imparare sempre di più ad accogliere l’altro, ad accettare le tante diversità e parlare. E a parlarci. Lo studio della letteratura, la lettura dei classici e anche l’approccio umanistico possono dare un contributo per colmare questa necessità».

Rimaniamo con lo sguardo proiettato verso la scuola del domani. Impossibile non prendere in considerazione l’intelligenza artificiale.
«Immaginare la scuola del futuro non è semplice, ma credo che – citando Don Milani – il compito delle istituzioni scolastiche sia quello di dare la parola ai ragazzi, e quindi gli strumenti per vivere nel mondo. L’intelligenza artificiale è, di fatto, uno strumento; uno strumento per certi versi eccezionale, che però va utilizzato nella maniera corretta. Bisogna studiarlo e imparare a usarlo al meglio. Credo che dovranno cambiare le modalità di valutazione, le prove e anche le produzioni degli studenti. I cellulari in classe? Nell’ottica di intendere la scuola come uno spazio di socializzazione, penso che quella del ministro possa essere una scelta funzionale: siamo tutti a favore degli strumenti per la didattica, ma dobbiamo anche provare a disintossicarci dai cellulari».

Cosa si porterà in questo nuovo capitolo della sua vita?
«Una certezza su tutte: il ruolo centrale della scuola e dell’istruzione. In qualunque condizione, la scuola deve esserci. Sempre».

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