Sant’Agostino, svelata la nuova idea di piazza: verde, acqua e pedoni
L’architetto Carlo Ratti illustra tutti i piani del progetto: «La sfida sarà celebrare il passato e creare il futuro. Le strade interne torneranno a vivere e dai tetti-giardino cambierà la prospettiva»
MODENA. Un progetto urbanistico. Un progetto culturale. Uno sforzo concettuale. Un’idea, anzi più di una, da trasformare. Il tormentato Sant’Agostino sembra arrivato ad un momento di pace. Per quella dei sensi ci vorranno ancora almeno quattro anni, ma intanto se ne parla toccando con mano qualcosa che finalmente si vede, arricchisce. E piace. Lo hanno detto i modenesi, che non hanno nascosto quanto la pedonalizzazione della piazza – costruita con suggestioni come il verde e i percorsi delimitati che anticipano le proposte definitive che saranno contenute nel prossimo progetto – sia un valore. Curato dallo Studio Carlo Ratti e Associati, l’allestimento temporaneo dell’area di fronte al cantiere dell’ex ospedale Sant’Agostino è frutto della collaborazione tra Fondazione di Modena, Fondazione Ago e Comune di Modena per offrire alla città un nuovo spazio estivo da vivere, un luogo capace di fare da ponte tra gli istituti culturali che si affacciano sulla piazza e quelli che la circondano.
La nuova piazza
L’allestimento ha previsto l’inserimento di nuove aree verdi, pensate per mitigare le alte temperature dei mesi estivi e rendere l’ambiente urbano più vivibile, e l’ampliamento della zona pedonale e ciclabile. Un segno architettonico distintivo — un doppio filare di alberi-totem — accompagna visivamente e simbolicamente l’estensione dello spazio pubblico. La piazza non è pensata solo come uno spazio esterno, ma come un luogo in cui si intrecciano relazioni sociali e urbane, e dove per eccellenza cultura e sociale si integrano. Il progetto, pensato come un’anteprima concreta del futuro intervento di riqualificazione e parziale pedonalizzazione della piazza, ha l’obiettivo di renderla più accessibile e fruibile, ma anche più accogliente rispondendo a esigenze climatiche, culturali e sociali.
L’intervista
Impossibile, come sempre, mettere d’accordo tutti. Chi ci sta provando è, appunto, l’architetto Carlo Ratti, la star che sta provando a lasciare il segno in una Modena che in Sant’Agostino aveva sempre rispedito al mittente soluzioni illustri. L’urbanista, professore al Mit di Boston, direttore della Biennale di Venezia e fondatore dello studio CRA, prima della sua matita ha messo in campo una delle sue doti, l’equilibrio, che traspare chiaro da una chiacchierata per svelare i segreti di quello che sarà il più grande progetto culturale italiano dei prossimi anni.
Partiamo da questi giorni e dalle suggestioni che avete raccolto con l’allestimento pedonale della piazza.
«Abbiamo un ritorno molto positivo e contavo molto su questo, sulla civitas e sulla vitalità dei modenesi. Vanno coinvolti e noi lo stiamo facendo».
Qual è stato il punto di svolta?
«La presentazione pubblica e la visione temporanea di una situazione che poi, con altre caratteristiche e modalità da condividere, diventerà definitiva. Ognuno oggi può vedere una fetta di futuro, lo può testare, può esprimersi. La piazza oggi è viva, con una pedonalizzazione, il verde con una filigrana molto leggera ma presente per combattere il caldo delle città storiche. Così inizia il dialogo con i modenesi e la Soprintendenza per un intervento urbano che trasformerà il progetto».
In che modo questa trasformazione coniuga innovazione e rispetto per gli edifici storici?
«La piazza torna come nel Settecento un palcoscenico urbano: da una parte l’ex ospedale e dall’altra, grazie alla Fondazione, la più grande infrastruttura culturale esistente. Sulla parte del Sant’Agostino il rispetto è massimo, tutto è condiviso gomito a gomito con la Soprintendenza, fino al luogo più iconico che a mio avviso è il cortile delle tenaglie: un intervento con una tecnologia che ci permette di fruire al meglio quello spazio. Il grande tetto sopra le tenaglie era fisso ma si sarebbe persa la memoria del cortile aperto. Questo grande origami, invece, permetterà di viverlo appieno».
Elemento centrale del progetto è il grande foyer, concepito come uno spazio pubblico di attraversamento e orientamento, articolato su due livelli. Ispirato a modelli internazionali come la piramide del Louvre, questo spazio funge da snodo tra le diverse realtà presenti nel complesso, offrendo ai visitatori un punto di accesso e di comprensione dell’intero ecosistema culturale.
Il progetto non introduce un’entità autonoma, ma completa e valorizza l’esistente, promuovendo un linguaggio condiviso tra istituzioni, collezioni, pubblici e discipline. In questo senso, il programma culturale si costruisce a partire dalle eccellenze già presenti sul territorio integrandole con mostre temporanee, cicli tematici, collaborazioni artistiche, progetti di curatela dinamica ed educativi che faranno perno attorno al FEM, il centro internazionale di ricerca per la qualità l’impatto e l’innovazione dell’educazione. Questo è un punto su cui Ratti si sofferma. Il foyer, in particolare, diventa strumento attivo di valorizzazione: uno spazio espositivo flessibile in cui opere già in collezione possono essere restaurate, contestualizzate e rese accessibili a pubblici nuovi e trasversali. La fruizione non è solo museale, ma esperienziale e partecipativa.
Che cosa riscoprirà il progetto una volta ultimato?
«Un punto che i modenesi scopriranno nei lavori in corso è quello della monumentalità. Nei secoli in parte era stata persa, questi spazi monumentali invece ritornano, per ripartire da dove tutto è cominciato. In questo ci aiuterà anche la tecnologia».
A proposito di monumentalità, siamo sinceri. Prima di lei ci avevano provato illustri architetti come Frank Gehry e il progetto della porta e ancora Gae Aulenti con le torri. Modena l’ha spaventata? Non la preoccupano questi precedenti?
«Quando ci siamo avvicinati al progetto ero più preoccupato, due casi di difficoltà di progettisti precedenti sono un elemento da tenere presente. Ma penso che per noi tutti, ora, questa sia stata una opportunità. La bella voglia di partecipare, dal basso, per un progetto che coinvolge i cittadini mi ha tranquillizzato moltissimo. È questo un approccio positivo e costruttivo. Spaventato no, ma è stata una lezione importante: interagire in maniera schietta, pensiamo alla grandissima innovazione del territorio. Superiamo la questione del progetto calato dall’alto diventandone parte attiva».
Quali sono gli spazi che, secondo lei, diventeranno i fulcri della vita culturale del complesso?
«Uno sarà certamente la piazza. Non è un caso che se ne parli da così tanto tempo, va considerata in tutta la sua grandezza storica quando aveva la quinta in fondo e la grande statua equestre al centro. A quel punto la piazza diventa lo snodo, a destra l’ex ospedale e a sinistra la chiesa e il Palazzo dei Musei. Del progetto mi piace sottolineare come tornino a vivere le strade interne che lo ricollegano al tessuto urbano».
Cosa non dovrà mancare, a suo avviso, nel progetto che poi sarà realizzato?
«Abbiamo sviluppato varie idee. Un susseguirsi di prove e interazioni, punti chiave di cui stiamo parlando e che abbiamo prototipato. Pedonalizzazione sicuramente, poi il verde di cui abbiamo già parlato e che in città come Parigi sta entrando negli spazi monumentali. Anche l’elemento dell’acqua potrebbe aiutarci in questo senso, in questa ricerca di autenticità. Senza dimenticare il rapporto con la via Emilia, già ben scandito dall’installazione di quest’anno. Il palco che vedete oggi è temporaneo, ma la piazza sarà un palco per la cultura di questa città. Ci si accorgerà di tutto da quello sguardo che dai tetti porterà gli occhi sulla città, tetti che torneranno verdi per godersi tutto da una prospettiva ancora più interessante».
Il problema del Sant’Agostino, negli anni, al netto dei costi che restano un tema da affrontare, è stato soprattutto uno: mettere d’accordo le diverse anime della città, ognuna con le sua identità, che in alcuni momenti ha fatto rima con rivendicazione. Oggi pensa che Modena sia nelle condizioni di stringere e tirare Finalmente in porta?
«La parte interna sappiamo che è un progetto definito. Alla fine di questa estate e del percorso con la città sappiamo che abbiamo da presentare un progetto che ci auguriamo possa poi essere quello definitivo che ci aiuterà ad interpretare al meglio il futuro di questo spazio».
Tempi?
«La strada è quella giusta, siamo nel percorso ma oggi non è il momento di dare date».
In che modo pensa che questo intervento possa influenzare la vita sociale e culturale della città?
«Sono progettista e insegno al Mit di Boston e nella mia visione scientifica, in un articolo appena uscito, affermo che lo spazio pubblico sta cambiando identità. Tutto questo ha suscitato un dibattito molto stimolante. Le tecnologie, oggi, ti frammentano in gruppi diversi e bloccano chi la pensa in modo diverso. Lo spazio pubblico ha una inevitabilità, si è tutti insieme, anche se di fede diversa, è un bellissimo integratore. Da quando nascono le città, diecimila anni fa come grande invenzione dell’umanità, questi spazi sono di condivisione per scambiare merci e idee. Oggi dobbiamo superare queste bolle che non comunicano. Un aspetto che mi piace molto, in questo contesto, è che c’è una gerarchia degli spazi: le piazzette interne, i musei, lo spazio monumentale. Tutti i modenesi possono trovare la loro dimensione in una piazza di incontro tra le persone».
Ha sempre sottolineato l’importanza della condivisione e del coinvolgimento: non pensa che questa procedura possa rallentare e snaturare il progetto?
«No, il confronto è sempre uno stimolo, al massimo si incontrerà qualche dosso rallentatore, poi arriverà la decisione e la nostra macchina sarà in grado di vincere il gran premio».
Andiamo nel futuro e tuffiamoci nella Modena del 2050. Cosa vedremo in questo spazio?
«Intanto garantisco che sarà finito ben prima – sorride – e vorrei essere lì non solo in uno spazio che fortifica il passato ma in un luogo dove si progetta la cultura di domani, tra celebrazione e creazione».
I turisti verranno a Modena anche per questo e non più “solo” per Ferrari, Pavarotti, Bottura...?
«Modena, per tutti questi motivi, ha un posizionamento mondiale molto alto. Io spero di tornarci anche per il Sant’Agostino».
