Marito e figlio hanno idee “radicali” e a lei viene negata la cittadinanza italiana
Il pericolo per lo Stato è emerso dopo attività di intelligence. Il verdetto ribadisce un principio già affermato in altre decisioni: la cittadinanza non è un diritto automatico, ma un atto discrezionale dello Stato.
SPILAMBERTO. Un fascicolo coperto dal segreto, documenti dell’intelligence e la parola “pericolo” che pesa più di ogni altra. È su queste basi che il Consiglio di Stato ha detto no alla cittadinanza italiana per una donna marocchina residente a Spilamberto, confermando quanto già stabilito dal Tar Lazio. Non è lei a essere finita al centro delle indagini, ma la sua famiglia: marito e figlio, secondo le verifiche dei servizi, sarebbero vicini a persone che si rifanno a ideologie radicali e oltranziste, incompatibili con i valori fondanti della Repubblica.
La decisione
Per i giudici, questa vicinanza basta a giustificare un timore concreto. I legami familiari – si legge nella sentenza – hanno una forza tale da poter condizionare scelte e comportamenti, anche contro la volontà personale. È “più probabile che non”, spiegano, che l’affetto possa trasformarsi in una forma di sostegno indiretto. Da qui la decisione dello Stato di “anticipare la soglia di prevenzione”, negando l’accesso alla comunità nazionale a chi non offre garanzie piene.
Il secondo “no”
Il Ministero dell’Interno aveva respinto l’istanza già nel 2020, notificando alla donna il diniego con una motivazione “stringata”. La ricorrente aveva contestato proprio questo punto: troppo scarna la spiegazione, troppo poca l’istruttoria. Ma per il Consiglio di Stato, quando in gioco ci sono ragioni di sicurezza, non serve dire di più: rivelare dettagli significherebbe scoprire fonti sensibili e mettere a rischio l’attività degli investigatori. Il verdetto ribadisce un principio già affermato in altre decisioni: la cittadinanza non è un diritto automatico, ma un atto discrezionale dello Stato. Nel bilanciamento tra interessi individuali e tutela della collettività, prevale la salvaguardia della sicurezza nazionale. Per questo i giudici hanno confermato la scelta del Ministero e rigettato l’appello, disponendo la compensazione delle spese di causa. La vicenda si inserisce in un filone sempre più delicato di casi in cui la sicurezza viene valutata prima di tutto in chiave preventiva, senza attendere conseguenze concrete.
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