“Pavarotti 90”, un magazine in omaggio con la Gazzetta per celebrare i 90 anni dalla nascita del tenore
Domenica 12 ottobre, insieme al quotidiano, i lettori riceverano in regalo il primo numero dell'allegato speciale “maGAZine”: in occasione di una data così importante, non poteva che essere dedicato al Maestro
MODENA. Nonostante il successo planetario, Luciano Pavarotti non dimenticò mai le sue radici. Modena non era solo la sua città natale, ma il cuore della sua identità. E la terra emiliana ha sempre rappresentato tantissimo nella sua vita: del resto, tra Modena e Reggio Emilia è stato “forgiato” il tenore che ha conquistato il mondo. «Sono nato a Modena e morirò a Modena. È la mia casa, il mio rifugio», dichiarava spesso. Qui trascorse l’infanzia, tra le partite di calcio nei campi e le prime lezioni di canto, fino a quella sera magica al Comunale di Reggio dove con la Bohéme la sua vita cambiò. Ma anche quando calcava i palcoscenici più prestigiosi del mondo, tornava sempre nella sua villa alle porte della città, dove amava ricevere amici e colleghi.
Il rapporto con Modena si tradusse in gesti concreti: Pavarotti organizzò numerosi concerti di beneficenza per sostenere ospedali, scuole e iniziative sociali locali. Il più celebre fu il ciclo “Pavarotti & Friends”, che dal 1992 al 2003 portò nella città emiliana star internazionali come Bono, Sting, Elton John, Céline Dion, Zucchero. «Luciano non ha mai dimenticato da dove veniva. Ha portato il mondo a Modena, non Modena nel mondo», disse Zucchero in un’intervista. Domenica si celebra quello che sarebbe stato il suo Novantesimo compleanno e quindi per ricambiare idealmente tanto affetto la Gazzetta di Modena e la Gazzetta di Reggio hanno deciso di omaggiare la memoria del maestro con una iniziativa editoriale speciale. Insieme alla Gazzetta ci sarà in edicola il primo numero di maGAZine, una rivista monografica in che uscirà periodicamente per celebrare il nostro territorio. E il primo numero è dedicato proprio a Luciano Pavarotti.
Le origini
Luciano Pavarotti non è stato solo un tenore, ma un fenomeno culturale che ha trasformato la percezione dell’opera nel mondo. Nato in una famiglia modesta, figlio di un fornaio e di una madre operaia, cresce ascoltando i dischi del padre, appassionato di canto corale. «Se non avessi avuto mio padre, non avrei mai cantato», dirà più tardi. Da bambino sogna di diventare calciatore, ma la musica lo conquista presto. Dopo gli studi con Arrigo Pola ed Ettore Campogalliani, debutta nel 1961 a Reggio Emilia come Rodolfo ne La Bohème.
È l’inizio di una carriera folgorante: nel 1965 canta alla Scala con Mirella Freni sotto la direzione di Herbert von Karajan, che lo definisce «un dono di Dio». Nel 1972, al Metropolitan Opera di New York, entra nella leggenda con La Fille du Régiment: i nove Do di petto lo consacrano “Re dei Do” e gli valgono 17 chiamate alla ribalta. «Quel giorno è nato il mito», ricorderà Plácido Domingo. Negli anni ’70 e ’80, Pavarotti diventa una star globale. La sua voce, luminosa e potente, conquista non solo i teatri ma anche la televisione e i media. Joan Sutherland, sua partner in scena, afferma: «Luciano aveva un timbro unico, luminoso come il sole d’Italia». Riccardo Muti lo definisce «la voce più bella del secolo scorso».
Conquista il mondo
Con oltre 100 milioni di dischi venduti, sei Grammy Awards e il Kennedy Center Honors, Pavarotti è tra i cantanti più celebri di ogni genere musicale.
Il 1990 segna una svolta epocale: con Domingo e Carreras forma il trio dei Tre Tenori, portando l’opera negli stadi e davanti a milioni di spettatori. «Luciano ha aperto le porte dell’opera a chi non le aveva mai varcate», dirà Carreras. Il concerto alle Terme di Caracalla, trasmesso in mondovisione, diventa un evento storico. Seguono i concerti di massa: Hyde Park (1991) con 250.000 persone, Central Park (1993) con mezzo milione di spettatori.
«Non volevo cambiare la lirica, volevo solo che la gente la amasse», spiegò Pavarotti a chi gli chiedeva il perchè di questi eventi fuori dai teatri. Parallelamente, con i Pavarotti & Friends, unisce lirica e pop per beneficenza, duettando con Bono, Sting, Elton John, Zucchero. Bono lo ricorda così: «Un gigante gentile che ha insegnato al mondo che la voce è un ponte tra le anime». Questa apertura lo rende amatissimo dal pubblico, ma criticato dai puristi. Lui risponde: «Se la mia voce può aiutare qualcuno, allora canto ovunque».
Le radici
Ma come si diceva all’inizio dietro la fama, Pavarotti resta un uomo semplice, legato alla sua Modena, alla cucina e agli amici. Amici fedelissimi con i quali si ritrovava sempre per infinite sfide a briscola, quando non li faceva volare direttamente ovunque si trovasse, proprio per sentirsi in famiglia e giocare a carte. «Una delle cose più belle della vita è fermarsi e dedicarsi a mangiare», scherzava spesso. Nonostante il successo planetario, non perse mai l’umiltà: «Non sono un politico, sono un musicista». La sua filosofia era chiara: «Non è disciplina, è devozione. C’è una grande differenza». Luciano Pavarotti muore il 6 settembre 2007, a 71 anni, lasciando un vuoto immenso. Ai funerali, Plácido Domingo lo saluta così: «Abbiamo perso il più grande tenore del mondo, ma la sua voce vivrà per sempre». E forse è proprio questa la sua eredità: aver dimostrato che la musica, quando è autentica, non conosce confini. «Con lui, la lirica è uscita dai teatri ed è entrata nei cuori», scrisse il New York Times. A cui si potrebbe rispondere con la celebre frase di Luciano Pavarotti: «Penso che una vita per la musica sia una vita spesa bene ed è a questo che mi sono dedicato».
