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Violenza

Resta incinta, fugge e lo denuncia dopo anni di botte e imposizioni

di Stefania Piscitello
Resta incinta, fugge e lo denuncia dopo anni di botte e imposizioni

A processo un giovane tunisino: voleva costringerla a indossare il velo. La vittima in ospedale inventava scuse: «Sono caduta mentre correvo»

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CARPI. Ogni volta che arrivava al pronto soccorso, lui era lì con lei. E lei, puntualmente, inventava una storia: diceva di essere caduta mentre correva, di essersi sentita male al cinema, di essersi fatta male da sola. I medici annotavano contusioni, segni sul collo, un polso rotto. Nessuno poteva immaginare che dietro quei referti si nascondessero anni di violenze, di paura.

Cosa è successo
Questa la ricostruzione dei fatti fornita da una giovane donna di Carpi, classe 1996, che solo nel 2023 ha trovato la forza di denunciare il marito, un coetaneo di origine tunisina, rinviato a giudizio con le accuse di atti persecutori, maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate. La vittima è assistita dall’avvocata Chiara Virgili, costituitasi parte civile nel processo. Fin dall’inizio della loro relazione, iniziata nel 2018, lui aveva mostrato atteggiamenti di controllo e gelosia. Le chiedeva di mostrargli dove fosse, di mandargli foto, di dirgli con chi parlava. Pretendeva che si adeguasse alle sue regole e più volte ha provato a imporle di indossare il velo. Lei, italiana di origini tunisine, cercava di spiegargli che non si riconosceva in quell’imposizione, ma ogni volta la discussione degenerava.

Stalking e pedinamenti 
Dal 2018 al 2022 la giovane ha vissuto sotto una pressione costante, fatta di telefonate, minacce e pedinamenti. Episodi di stalking che, col tempo, sono sfociati in aggressioni fisiche. Nel 2022 i due si sono sposati e sono andati a vivere insieme, tra Modena e Sassuolo. Da quel momento la violenza – secondo il racconto della vittima – è diventata quotidiana. L’uomo le vietava di frequentare amici maschi, di uscire da sola. Ogni contrasto era un pretesto per umiliarla o colpirla.

Polso rotto e lividi sul volto
In una delle aggressioni più violente le ha provocato la frattura di un polso, con prognosi iniziale di venti giorni; in altre occasioni, lividi al volto e al collo, refertati come lesioni aggravate. Ma lei, ogni volta, taceva. Quando arrivava in ospedale, lui la accompagnava e restava accanto a lei, controllando ogni parola. Così inventava scuse, pur di evitare che i medici potessero far scattare una segnalazione. «Sono caduta», «mi sono fatta male da sola»: le versioni che ripeteva a ogni referto, nel timore di peggiorare la propria situazione.
 

La gravidanza
Nel 2023, rimasta incinta, la giovane ha capito che quella spirale non si sarebbe più fermata. Il marito, sempre più aggressivo, la insultava, la umiliava, la accusava di essere “malata” e “madre incapace”. A primavera ha trovato la forza di lasciare la casa familiare, temendo probabilmente che quei maltrattamenti potessero anche ripercuotersi sul figlio. Poi ha sporto denuncia. Il bambino è nato a fine 2023, lontano da quell’ambiente di paura. Oggi la donna, seguita e tutelata, ha ricominciato a vivere, mentre l’uomo — difeso da un avvocato d’ufficio — sarà processato davanti al collegio del tribunale di Modena nell’aprile 2026.