Peste suina in Garfagnana: ora trema anche l’Appennino modenese
Trovate carcasse di cinghiali infette. Scatta l’allerta per Fiumalbo, Pievepelago e Frassinoro. A rischio il comparto di lavorazioni delle carni di Castelnuovo e dintorni
MODENA. In provincia di Lucca è arrivata la Peste suina africana (Psa), nello specifico nel territorio del comune di Piazza al Serchio, dove sono state trovate carcasse infette di cinghiale. In Garfagnana sono state attivate dunque alcune strategie di contenimento della malattia. Vista la velocità con cui si spostano i branchi di cinghiali, anche a seguito della caccia di cui sono oggetto, in alcuni comuni dell’Appennino modenese si comincia a temere il peggio: si tratta di quelli più vicini alla Garfagnana, ovvero Frassinoro, Pievepelago, Fiumalbo.
La zona rossa
Una comunicazione ufficiale del commissario straordinario Giovanni Filippini, che preveda la creazione di una sorta di “zona rossa”, è un rischio concreto da qui a poche settimane, a sentire autorità sanitarie e istituzioni. E ciò significherebbe attivare interventi di contenimento che includono principalmente l’attuazione di stringenti misure di biosicurezza per gli allevamenti suini, l’abbattimento di suini selvatici, la limitazione delle attività venatorie nei territori in restrizione, la creazione di barriere fisiche per rallentare la diffusione della malattia in ambiente selvatico.
Aperta la caccia
La Psa è presente in Italia dal 2022: dal primo settembre scorso in dieci comuni modenesi è aperta la caccia al cinghiale, per contrastare la diffusione della malattia, fino al primo febbraio 2026. I territori interessati sono quelli di Riolunato, Palagano, Lama Mocogno, Montecreto, Fiumalbo, Pievepelago, Frassinoro, Montefiorino, Polinago e Prignano.
Le strategie della Regione
Per contrastare la diffusione della Peste suina africana, la Regione ha messo in campo dal canto suo un piano articolato di interventi, combinando misure economiche, venatorie e di controllo del territorio. Sono stati attivati quattro bandi per un totale di 11,1 milioni di euro, che hanno sostenuto oltre 150 aziende colpite. A questi si aggiungono 3 milioni di euro destinati alle attività di depopolamento dei cinghiali, con il coinvolgimento di ditte specializzate. Controlli ed interventi che non sono forse bastati, visto che alcune province dell’Emilia-Romagna, a partire da nord, hanno dovuto già fare i conti con la presenza della Psa che, lo ricordiamo, non è pericolosa per l'uomo e non prevede rischi per chi vuole consumare carne e salumi.
L’Appennino trema
Un morbo che rischia però, se venisse rilevato anche nel nostro Appennino, di mettere in difficoltà un settore, quello dell’allevamento e soprattutto della trasformazione della carne suina, che per la nostra provincia vale moltissimo in termini economici. Non tanto e non solo nei comuni direttamente coinvolti, dove questa attività non è molto presente, ma nella zona pedemontana, quella attorno a Castelnuovo. Senza contare le limitazioni ad eventuali escursioni o alla raccolta di funghi e tartufi.