I farmacisti incrociano le braccia: «Stipendi da fame, vogliamo dignità»
Le richieste non si limitano agli aumenti salariali: «O si cambia passo oppure il futuro della professione è a rischio»
MODENA. «Non ne possiamo più. Ora incrociamo le braccia». E lo hanno fatto per davvero. Giovedì 6 novembre, migliaia di farmacisti hanno scelto di fermarsi. Un gesto inedito per la categoria, che ha deciso di farlo tutta insieme, da Nord a Sud, per chiedere «dignità, riconoscimento e un contratto equo».
I numeri della protesta
Sono sessantamila i farmacisti e i dipendenti delle farmacie private che partecipano al primo sciopero nazionale contro Federfarma. Di questi, circa quattrocento saranno modenesi. Ventiquattro ore di stop, di voci che si alzano da dietro i banconi, e di proteste davanti alle sedi dell’associazione dei titolari di farmacia, dopo mesi di trattative interrotte e una proposta economica giudicata «inadeguata».
L’offerta di 180 euro lordi in tre anni è troppo lontana dalla richiesta dei sindacati, che è di 360 euro, e anche da quella che, per molti, ormai è «una questione di rispetto professionale». «Troppo poco - dicono i farmacisti - per chi si è caricato sulle spalle gran parte della sanità territoriale, tra emergenza pandemica e nuove mansioni legate alla cosiddetta farmacia dei servizi».
«In quasi dieci anni aumenti ridicoli»
«Stiamo vivendo la giornata con trepidazione ed emozione», racconta Chiara, farmacista da tredici anni. È la sua prima volta in piazza. «Finalmente c’è stata una presa di coscienza collettiva. In quasi dieci anni abbiamo visto aumenti ridicoli, 80 euro lordi in tutto. E oggi, ci ritroviamo con stipendi da 1.500 euro netti per 40 ore settimanali, turni spezzati e sabati inclusi. Io, ad esempio, per la maggior parte dei pomeriggi arrivo a casa alle 8 di sera, e riesco a vedere le mie figlie solo un’ ora al giorno. Siamo professionisti laureati - prosegue - iscritti all’Ordine, con responsabilità enormi. Eppure… ».
Mentre ci parla, il suo tono si alterna tra orgoglio e amarezza: «Durante il Covid eravamo in prima linea. Ora con la farmacia dei servizi facciamo di tutto: cup, spid, holter, elettrocardiogramma, misurazioni, incasso ticket. Ci chiedono sempre di più, ma non c’è mai un adeguamento contrattuale».
Cosa chiedono i farmacisti
La stessa consapevolezza la ritroviamo nelle parole di Luisa Casella, presidente di Agifar Modena e Reggio Emilia, che ci guida all’interno delle richieste della categoria: «Quello che chiediamo è semplice: adeguamenti salariali in linea con l’inflazione; riconoscimento del ruolo del farmacista nella farmacia dei servizi; conciliazione vita-lavoro e formazione tutelata. È il minimo - aggiunge - per una professione che è cambiata radicalmente negli ultimi anni». Casella, poi, cita i numeri: «L’ultimo rinnovo, nel 2021, era stato definito “di transizione”. Si prometteva un contratto migliorativo, ma alla fine sono stati accordati soltanto 80 euro di aumento, senza dimenticare che il contratto era scaduto dal 2009. Vogliamo ripartire da zero: o si cambia passo, o il futuro della professione è a rischio. Sempre più colleghi ci lasciano, le farmacie fanno fatica a trovare personale e i giovani non si iscrivono più alla facoltà».
«Senza di noi le farmacie non esistono»
E c’è anche chi preferisce restare anonimo, ma non per questo non vuole alzare la voce: «Ci aspettiamo molta partecipazione - afferma Valentina Rossi (nome di fantasia, ndr) -. È impensabile gestire la salute delle persone e non arrivare a fine mese con un minimo di tranquillità». Le sue parole si fermano, poi aggiunge: «Ma la questione economica è solo la punta dell’iceberg. La conciliazione vita-lavoro, la formazione durante l’orario di lavoro, i contributi obbligatori: tutto questo è parte del problema». E così giovedì 6 ottobre, davanti alla sede di Federfarma Modena, non ci sono solo camici bianchi: ma una categoria intera che chiede che venga ascoltata la propria voce. E quella voce, Chiara, con un filo di emozione, la riassume così: «Dopo anni di silenzi abbiamo deciso di farci sentire. Non per rabbia, ma per rispetto: rispetto per la nostra professione, per i cittadini che ogni giorno si fidano di noi, e per noi stessi. Perché senza di noi - conclude - le farmacie non esistono».
