Gazzetta di Modena

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Il caso

Minacce a don Mattia, l’imputato non si presenta. Il sacerdote: «Dietro di lui c’è la mafia libica»

di Daniele Montanari

	L’avvocato Francesca Cancellaro e don Mattia Ferrari davanti al tribunale di Modena
L’avvocato Francesca Cancellaro e don Mattia Ferrari davanti al tribunale di Modena

Il sacerdote si costituisce parte civile in tribunale a Modena

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MODENA. Non si è presentato mercoledì 5 novembre alla mattina in tribunale a Modena Robert Brytan, il 56enne nato in Polonia, residente in Germania ma con cittadinanza canadese, accusato di essere la persona dietro ai due profili social da cui sono partiti gli insulti e le minacce a don Mattia Ferrari, cappellano modenese di Mediterranea Saving Humans più volte a bordo delle navi che salvano i migranti in mare. Ma il processo per diffamazione aggravata si fa lo stesso.

Il processo andrà avanti

Mercoledì mattina nell’udienza predibattimentale infatti sono state superate le questioni di notifica sollevate dalla difesa di Brytan (l’avvocato Giulia Zanoli, che non ha rilasciato dichiarazioni) e, alla luce degli elementi presentati, il giudice Stefano Ossorio ha ritenuto di dover approfondire le tematiche a processo. Al parroco, molto vicino a Papa Francesco, tramite i social è stato dato tra l’altro del “nazista” e del “comunista assassino”, nonché del sostenitore con la mafia italiana del traffico di esseri umani. Secondo quanto emerso dal team investigativo di Mediterranea, Brytan, che sarebbe legato a Frontex, l'Agenzia europea della guardia di frontiera, avrebbe avuto accesso a documenti riservati nell’ambito dei rapporti tra Italia e Libia.

In aula era presente don Mattia, che attraverso il suo avvocato Francesca Cancellaro si è costituito parte civile. Sarà l’unica parte civile: non ci sono state altre costituzioni, nonostante il caso tocchi anche delicate questioni istituzionali.

«Il nostro contributo è raccontare la verità»

«È un processo che abbiamo cercato di ottenere in questi anni in tutti i modi – ha sottolineato all’uscita l’avvocato Cancellaro – perché riteniamo siano del tutto rilevante le questioni sottoposte al tribunale tramite il caso di don Mattia: ciò che succede ogni giorno nel Mediterraneo centrale, dove continuano a morire persone che cercano di raggiungere l’Europa. Ma anche ciò che succede in Libia ogni giorno, con persone soggette alle più grandi violazioni dei diritti fondamentali. Questo processo ci auguriamo riesca a gettare luce su questi fenomeni, e possa in qualche modo illuminarne anche gli aspetti più inquietanti, che li collegano anche alle responsabilità delle autorità statali, delle autorità europee. Noi a processo faremo la nostra parte al meglio delle nostre possibilità, consapevoli che è una piccola parte e che i fenomeni così grandi e complessi non si risolvono nella aule di giustizia. Ma raccontare un pezzo di verità, far sì che entri nei fascicoli giudiziari e che in qualche modo possa essere accertata, è senz’altro un piccolo contributo che possiamo offrire».

«Il punto centrale sono le violenze»

«Il punto centrale sono le violenze che continuano ad avvenire da parte della mafia libica ai danni dei migranti che si trovano in Libia – ha rimarcato don Mattia – questa vicenda vi è strettamente legata perché il profilo che abbiamo denunciato, @rgowans, è considerato dagli esperti il portavoce della mafia libica. Tutti i giorni, dal 2017, pubblica materiale sulle milizie libiche ed espone foto umilianti delle persone migranti catturate.

Quest’azione da otto anni non è mai stata contestata all’infuori di questo processo: questo è il punto centrale della questione. Gli attacchi che lui ha rivolto a me e altri vanno inseriti nel fatto che noi abbiamo provato a contrastare l’azione della mafia libica. Siamo stati colpiti perché abbiamo aiutato i veri protagonisti di questa vicenda, che sono i nostri fratelli e sorelle migranti che conducono la lotta per la vita e per la fraternità».

«È su questo che noi chiediamo venga messa l’attenzione: la cosa veramente grave è che in 8 anni fuori da questo processo non si è mai cercato di contrastare l’azione di un account che gli esperti definiscono portavoce della mafia libica. E che oltretutto, lo sappiamo, ha pubblicato materiale riservato di apparati militari italiani ed europei. È importante collocare questa vicenda nel quadro generale di quello che come Italia e come Europa stiamo facendo in Libia».

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