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Il caso

Alluvione a Nonantola: «Fu colpa della scarsa manutenzione»


	L'alluvione a Nonantola
L'alluvione a Nonantola

Agenzia Aipo e Regione condannate a risarcire le famiglie colpite dall'alluvione che colpì il territorio modenese nel 2020

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NONANTOLA. L’Agenzia Interregionale per il fiume Po (Aipo) e la Regione Emilia Romagna sono state condannate a risarcire quattro famiglie che hanno presentato ricorso al Tribunale regionale delle Acque Pubbliche per gli ingenti danni subiti nell’alluvione del dicembre 2020 a Nonantola. La Corte d’Appello di Firenze, basandosi su una relazione tecnica, ha infatti riconosciuto gravi inadempienze da parte di Aipo sulla manutenzione degli argini, perforati e indeboliti dalle tane delle nutrie, come causa dell’alluvione.

Di cosa si tratta

In tutto, le famiglie sono circa una settantina: al momento i giudici hanno disposto rimborsi solo per quattro di loro, ma nei prossimi mesi è probabile che ne arriveranno altri. I risarcimenti sono patrimoniali e non, anche legati allo stress psicologico subito. La decisione dei giudici si basa su una relazione tecnica messa a punto da un ingegnere incaricato dal tribunale, che a sua volta si rifà a un rapporto di una Commissione tecnico-scientifica della stessa Regione Emilia-Romagna (ora accusata) pubblicato nel marzo 2021.
Il primo punto evidenziato è che «non ha senso parlare di evento del 2020 come “eccezionale”, in relazione al fatto che residuava ancora un franco di sicurezza di 1.3-1.4 metri dalla sommità arginale e nel secolo scorso si erano verificate anche delle tracimazioni. Per cui si è certi che quel tratto di fiume Panaro ha conosciuto livelli ben più alti di quello del 6 dicembre 2020».

Lo stato degli argini

La relazione si concentra quindi sullo stato degli argini. «Ci sono altre concause che possono aver favorito o amplificato il fenomeno, ma l’innesco che il Comitato tecnico ritiene il più probabile rispetto agli altri è la presenza di tane relitte o attive». La pressione dell’acqua, in presenza di tane, «permette l’erosione delle pareti del condotto e allargandolo fino al collasso strutturale dell’argine. Analisi hanno mostrato che è sufficiente un carico idraulico relativamente modesto agente all’interno delle cavità».

Il parere dei tecnici

Sotto accusa quindi Aipo: «Nella sfera delle competenze dell’ente c’è la programmazione degli sfalci – continuano i tecnici –, l’attività di controllo sulle tane degli animali ma anche la possibilità di decidere di rinforzare un intero tratto arginale, di regolazione della cassa di espansione sul fiume Panaro e il servizio di piena».
Ancora la relazione: «È indubbio inoltre che l’attività complessiva di chiusura tane e allontanamento soppressione di animali è calata in modo evidente nel biennio antecedente la rotta, con addirittura un periodo di sospensione di parte delle attività, rispetto ai tre anni precedenti in cui vi era un’attività maggiormente organizzata e costante». C’è inoltre un passaggio sullo stato degli argini in merito alle ultime verifiche fatte dalla Commissione tecnica, ovvero nel dicembre 2024: «Sembra che il problema delle tane e degli animali fossori che infestano le difese arginali sia lontano da essere risolto e che invece di un calo nel livello di attenzione come avvenuto nel biennio 2019-2020». Non manca poi un rimpallo di responsabilità: «Aipo lamenta una interferenza negativa della Regione Emilia Romagna nella gestione degli animali fossori. Dall’analisi degli atti in possesso dello scrivente, emerge dagli innumerevoli tavoli tecnici una gestione macchinosa e lenta del problema», conclude la relazione. Contattata sulla questione, Aipo non ha rilasciato dichiarazioni.

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