Tintoria Emiliana, il viaggio negli stabilimenti modenesi: «Un riferimento da 70 anni»
L’azienda si occupa della tintura di capi di abbigliamento: «Noi riceviamo i vestiti bianchi e diamo loro colore, effetto e identità. È il colore che dà vita al capo».
MODENA. Da un edificio alle porte di Modena prende forma una delle fasi più affascinanti e decisive dell’intero sistema della moda. Da oltre settant’anni questa azienda è un punto di riferimento internazionale per la tintura di capi di abbigliamento, collaborando con grandi marchi come «Stone Island, C.P. Company, Trussardi, Dolce e Gabbana, Louis Vuitton e Burberry», come ci racconta il responsabile commerciale Enrico Gagliardelli. «Noi riceviamo i capi bianchi e diamo loro colore, effetto e identità – ci spiega – Molti pensano che i vestiti nascano già tinti, ma in realtà tutto parte dal bianco. È il colore che dà vita al capo».
Il viaggio dentro l’azienda
Oggi la Tintoria Emiliana è leader del settore, ma la sua storia nasce nel dopoguerra quando si occupava di recuperare le uniformi militari, pulirle e dare loro una seconda vita. «Oggi si chiama upcycling, ma all’epoca era solo necessità. È curioso come certe idee tornino di moda settant'anni dopo», continua Gagliardelli.
Il segreto della tintura sta nella tecnica. Esistono diversi tipi di approcci: tinto filo, tinto pezza e tinto capo. La specialità dell’azienda è il tinto in capo, una tecnica che consiste nel tingere il capo già confezionato, già cucito, e che permette risultati unici. “Rispetto alla tintura in pezza o in filo, quella in capo è più viva, più autentica. Le cuciture, i bordi e gli spessori reagiscono in modo diverso al colore: per questo il risultato è sempre unico” racconta ancora Gagliardelli. Ogni reparto racconta una parte di questo percorso: vasche d'acciaio, termometri digitali e macchine che lavorano a novanta gradi. L’acqua e la temperatura sono fondamentali, permettono al colore di entrare nella fibra, di fissarsi per sempre e il colore resta vivo anche dopo decine di lavaggi. Ogni fibra reagisce in modo diverso alla temperatura, alla pressione e ai prodotti chimici. Tra i materiali più difficili da trattare ci sono lana, seta e cashmere, con i quali non si può sbagliare perché anche solo una temperatura troppo alta può rovinare ore di lavoro. Con il cotone invece si ha più margine: se il colore non convince si riesce perfino a riportarlo quasi al bianco originale e ricominciare.
Tra sostenibilità e futuro
Oltre alla maestria artigianale, la Tintoria Emiliana nel corso degli anni ha investito molte risorse e impegno anche nella ricerca e sostenibilità. Ogni ciclo di tintura, infatti, richiede in media dai 5mila ai 9mila litri d’acqua, ma grazie ad impianti di nuova generazione il consumo è stato ridotto fino al 70 per cento. L’obiettivo è ridurre i rifiuti, riutilizzare l’acqua e sperimentare pigmenti a basso impatto ambientale. Un’altra rivoluzione riguarda il modello produttivo; i capi vengono tinti solo su richiesta, eliminando le giacenze di magazzino, così da non sprecare né tessuto, né energia, né tempo.
In un settore che produce oltre 150 miliardi di capi all’anno, la scelta di ridurre l’impatto ambientale è anche una presa di posizione etica. «Il fast fashion ha saturato il pianeta di vestiti invenduti. Noi cerchiamo di fare l’opposto: meno quantità, più qualità. È l’unico futuro possibile per la moda», conclude il responsabile commerciale della Tintoria Emiliana Enrico Gagliardelli.
*studentesse del liceo Muratori-San Carlo, classe 5B
