Barbara, vittima di femminicidio 35 anni fa: «Il sistema non è cambiato»
Coratella fu uccisa dal marito Carmine Vollero davanti al portone di casa con 7 coltellate, sotto gli occhi del figlio di 2 anni. Udi Modena: «Ciò che accadde allora continua oggi con frequenza, dinamica e copione identici. E la lettura pubblica continua a interrogare il comportamento della vittima»
MODENA. Un venerdì di febbraio di tanti anni fa, il nome di Barbara Coratella comparve sulle pagine della Gazzetta di Modena per la ragione più dura: era stata uccisa davanti al portone di casa con sette coltellate. Seguimmo quello che accadde con la puntualità di allora: le prime testimonianze, le indagini, l’aula del tribunale. E oggi, torniamo su quella storia per restituirle il contesto, le omissioni, e i segnali mancati che le cronache dell’epoca già lasciavano intravedere.
Il passato trasportato nel presente
Un lavoro necessario, perché quella vicenda non appartiene soltanto al passato: parla ancora al presente. E perché se scrivere è sempre una responsabilità, in una giornata come questa, lo è particolarmente. Rileggendo le cronache dell’epoca conservate nel nostro archivio, ciò che emerge non è solo l’orrore di un femminicidio. Ma la struttura che lo rese possibile. E allora, torniamo a raccontare questa storia perché «ciò che accadde allora continua ad accadere con la stessa frequenza, la stessa dinamica, lo stesso copione», come denuncia Udi Modena, che da anni accompagna famiglie e processi, e che in questa tragedia ha visto un’emblema della continuità della violenza maschile contro le donne nel nostro Paese. Quello che seguirà, quindi, è un lavoro giornalistico, basato sui documenti, sulle ricostruzioni, sulle pagine ingiallite della Gazzetta. È la storia di un femminicidio. «E del contesto che lo rese possibile».
Il femminicidio in via Bizet nel 1990
L’abbiamo già detto come si chiamava la protagonista di questa triste vicenda: Barbara Coratella. Aveva appena diciannove anni quando il marito, Carmine Vollero, la raggiunse sotto la casa della madre, l’afferrò, la spinse verso il muro d’ingresso del palazzo, e la colpì più volte con un coltello. Accadde in via Bizet. Era un venerdì, poco dopo le 13. Secondo le cronache, Barbara era uscita da un colloquio con gli assistenti sociali per definire l’affidamento del figlio di due anni. Erano stati loro a riaccompagnarla a casa, dove la ragazza viveva dopo essere fuggita dal marito. Non fece in tempo a suonare il campanello: Vollero la raggiunse e sferrò i colpi. Gli articoli parlano di una scena «sotto gli occhi del bambino», subito sottratto all’aggressore dal personale dei servizi sociali. La relazione, nei mesi precedenti, si era rivelata per quel che era. La giovane aveva confidato ai familiari di subire violenze fisiche e psicologiche. Dopo l’omicidio, Vollero si presentò in Questura, dichiarando di volersi costituire. Fu arrestato. Ma le cronache giudiziarie del periodo sottolineavano anche un altro elemento: secondo il nuovo codice di procedura, la remissione in libertà in attesa del giudizio preliminare non era esclusa, specie in assenza di pericolo di fuga. «Un dettaglio – commenta Udi – che, già allora, sollevava interrogativi su come il sistema valutasse la pericolosità di un uomo che aveva appena ucciso la moglie con una lama acquistata appositamente».
Il processo e la lettura pubblica della vicenda
Il processo si concluse nel 1993: Vollero fu condannato a 21 anni di reclusione. Il delitto venne classificato come omicidio volontario, ma la premeditazione non fu riconosciuta. E nelle arringhe, scrivevamo, comparve più volte un’ombra di responsabilità mancata a causa di momenti «carichi di irrazionalità». «Un meccanismo di spostamento della colpa che ritorna ancora oggi, in molte aule giudiziarie e in molte ricostruzioni – aggiunge Udi – Ed è per questo che, per questa vicenda, si può parlare di femminicidio da manuale. Un manuale che non è stato aggiornato. Oggi come allora, ogni due giorni e mezzo una donna viene uccisa perché un uomo non accetta il suo “no”. E la lettura pubblica continua a interrogare il comportamento della vittima: se indossa una minigonna, se è espansiva, se sorride troppo. La responsabilità ricade sulle donne. Mai sugli uomini». Secondo Udi, il caso Coratella è emblematico non solo della violenza, «ma del sistema che la circonda»: linguaggi che insinuano dubbi sulla vittima, prassi istituzionali che non riconoscono il pericolo, narrazioni che assolvono culturalmente il colpevole. «Il patriarcato non è un fantasma del passato. È un sistema vivo che attraversa tribunali, media, opinione pubblica. Che prescrive ruoli, giustifica controlli, minimizza la violenza fino all’epilogo più estremo». E questo ritorno sulle pagine di allora fa emergere un punto: «Il tempo passato non ha spostato di molto la linea del cambiamento». I nomi sono cambiati, i contesti anche, ma i meccanismi restano simili. Ed è proprio questo il dato più inquietante. Perché Barbara è stata uccisa 35 anni fa, precisamente il 2 febbraio del 1990. Eppure, leggendo questa storia, ci si rende conto che potrebbe essere stata scritta sulle cronache di ieri. Se non di oggi.
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