«La cucina italiana unisce semplicità e poesia, appartiene davvero a tutti»
Lo chef Bottura: «La tradizione emiliana ha contribuito a questo riconoscimento in modo naturale»
MODENA. «L’ho sempre sostenuto: la cucina italiana è unica al mondo nel suo genere. Non è solo un insieme di piatti o ricette, ma è un rito d’amore, un linguaggio fatto di gesti, di profumi e sapori che tengono unito un Paese intero».
Sono queste le parole commosse ma intrise di gioia espresse dallo chef Massimo Bottura all’annuncio del riconoscimento da parte dell’Unesco della Cucina Italiana come patrimonio immateriale dell’umanità, avvenuto nella tarda mattinata di ieri a Nuova Delhi.
Bottura se lo aspettava o è stata una sorpresa?
«È stata una sorpresa. Non perché la cucina italiana non lo meritasse, lo sappiamo da sempre, ma perché questo riconoscimento non riguarda solo i piatti, bensì un sistema complesso fatto di biodiversità, gesti quotidiani, comunità e responsabilità. Personalmente lo speravo profondamente, ci ho creduto, ma sapevo che non era scontato. L’Unesco chiede visione, coerenza, capacità di fare sistema. Quando ho capito che il racconto non parlava di eccellenze isolate ma di un patrimonio vivo fatto di territori, microclimi, agricoltori, allora ho pensato: forse sì, ci siamo. Del resto, attorno a una tavola apparecchiata l’Italia si riconosce lì si condividono sogni, si litiga si fa pace e si tramandano memorie. Lo spiegai anche all’apertura del Refettorio di Parigi: per noi, il cibo non è solo nutrirsi è prendersi cura dei famigliari degli amici dei nostri ospiti nei nostri ristoranti o nei nostri Refettori».
Quanto la cucina emiliana può aver contribuito a questo riconoscimento?
«Ogni regione del nostro paese custodisce una propria grammatica del gusto: un modo diverso di unire la farina all’acqua, l’olio alla luce, il tempo alla pazienza. In questa moltitudine di paesaggi culture e tradizioni sta la vera ricchezza di tutta l’Italia. Mi sento però anche di dire che l’Emilia ha contribuito all’ottenimento di questo riconoscimento in modo naturale, quasi silenzioso. L’Emilia non ha mai avuto bisogno di dichiararsi: ha sempre fatto. È una terra dove la biodiversità non è uno slogan, ma una pratica quotidiana; dove il tempo è un ingrediente fondamentale; dove il sapere passa di generazione in generazione. Qui da noi la cucina è cultura del territorio: dai campi alle stalle, dai caseifici alle acetaie alle cantine. È un sistema in equilibrio tra artigiani, contadini, allevatori, cuoche e cuochi. Un modello in cui sostenibilità significa rispetto del lavoro, delle stagioni e della memoria. E proprio quando il gusto incontra la memoria non è più solo cucina: è cultura, è l’Italia che ogni giorno si rinnova cucinando per amore».
Qual è secondo lei il “plus” della cucina italiana rispetto a quella francese per esempio, da sempre tanto osannata?
«Credo che il vero “plus” della cucina italiana stia nel fatto che appartiene davvero a tutti. Non nasce solo nei grandi ristoranti o nelle corti del potere, ma nelle case, nelle trattorie, nelle feste di paese. È una cucina orizzontale, popolare nel senso più alto del termine, dove il sapere non è mai stato esclusivo, ma condiviso. Rispetto ad altre grandi tradizioni, come quella francese, straordinaria e fondamentale, la cucina italiana ha mantenuto un legame più diretto con la i territori e con l’idea di cucina come rito quotidiano. Il suo valore sta nella capacità di fare grande ciò che è umile: trasformare pochi ingredienti in identità, la semplicità in profondità, la necessità in poesia».
Si sente in dovere di ringraziare qualcuno in particolare?
«Sì, un grandissimo ringraziamento lo dobbiamo a Maddalena Fossati, direttrice de “La Cucina Italiana”, rivista storica e simbolo della cultura gastronomica nazionale che ha sempre creduto nella possibilità di questo riconoscimento. Maddalena ha reso visibile l’invisibile. Ringrazio anche i ministri Francesco Lollobrigida e Alessandro Giuli che insieme, “Agricoltura” e “Cultura”, hanno fatto squadra e hanno vinto. Infine, ringrazio il sottosegretario Gianmarco Mazzi, una vera forza della natura».
