Gazzetta di Modena

Modena

La sentenza

Il business dei modellini Ferrari falsi: importatore napoletano condannato

Il business dei modellini Ferrari falsi: importatore napoletano condannato

Venivano importati dalla Cina e spacciati per veri. La Casa di Maranello ha portato l’imprenditore davanti al giudice per violazione del design

3 MINUTI DI LETTURA





MODENA. I 7.560 modellini radiocomandati di Ferrari intercettato nel 2018 nel porto di Genova erano falsi. Ma confondibili sul mercato. Quindi c’è colpa per la società di import export napoletana che ha tentato di introdurli in Italia. La vicenda giudiziaria però non finisce qui: ci sarà un altro processo di appello a Genova.

Il business delle auto cinesi

Sono gli ultimi sviluppi della vicenda di sette anni fa, riferiti dall’edizione di Genova del quotidiano “la Repubblica”. La ditta napoletana era stata condannata dalla Corte di Appello di Genova al pagamento di una sanzione di 20mila euro, oltre al sequestro delle macchinine con il riconoscimento del reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi. I giudici accertarono “l’elevata confondibilità tra i prodotti” cinesi e quelli originali della Casa di Maranello. Sul banco degli imputati, la titolare della società napoletana per l’importazione dalla Cina di “7560 macchinine radiocomandate riproducenti il design comunitario registrato al n.002147447 di proprietà esclusiva della società Ferrari spa, in assenza di autorizzazione da parte del titolare”. Carico che appunto venne intercettato nel 2018 nel porto di Genova durante i controlli ai container da parte della Guardia di Finanza e delle Dogane.

Il Cavallino fa causa

Gli avvocati della società napoletana avevano sostenuto “l’assenza del rischio di confondere gli articoli per la differenza di prezzo e in mancanza di elementi di comparazione tra i prodotti”. I modellini infatti costavano molto meno degli originali Ferrari. Ma la Casa di Maranello, attraverso il proprio perito, ha sostenuto invece la piena violazione del design. Cosa che i giudici hanno condiviso, riconoscendo che “l’illecita riproduzione emergeva da numerosi tratti caratteristici dei modelli Ferrari (tra i quali, la forma delle prese d’aria e dei fari, la forma degli specchietti, il frontale della macchina, l’apertura caratteristica delle portiere, il taglio del lunotto posteriore, i gruppi ottici posteriori) e in generale dalle proporzioni, dallo stile e dalle linee caratteristiche del design dell’autovettura”.

Il ricorso dell’azienda napoletana

Bocciato quindi dalla Cassazione il principale motivo del ricorso dell’azienda napoletana. I supremi giudici invece hanno accolto un secondo motivo di ricorso, di profilo però prettamente tecnico. Hanno “bacchettato” i giudici genovesi per “omessa qualsivoglia valutazione circa la colpa di organizzazione, che deve invece essere vagliata, anche qualora il reato presupposto sia stato commesso, come nel caso in esame, da un soggetto che riveste nell’ente una posizione apicale”. Gli inquirenti cioè avrebbero dovuto verificare se la società avesse un modello organizzativo interno tale da evitare, se applicato in modo corretto, l’introduzione di prodotti falsi. Quindi, nel processo si sarebbe dovuto capire se «l'osservanza del modello organizzativo virtuoso avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi”. Da qui il rimando degli atti alla Corte d’Appello di Genova per un nuovo processo solo su questo punto.