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Davoli, cofondatrice di Eidos: «Noi facciamo la nostra parte contro la violenza di genere ma la famiglia è fondamentale»

Davoli, cofondatrice di Eidos: «Noi facciamo la nostra parte contro la violenza di genere ma la famiglia è fondamentale»

La storica scuola di danza reggiana sarà mercoledì 26 novembre tra i protagonisti al Teatro Ariosto di “Invivavoce-Storie sommerse di violenza di genere”

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Reggio Emilia «La danza contemporanea, per il suo alto tasso di emotività e di espressività, è quella che meglio può lanciare messaggi di denuncia e veicolare contenuti assolutamente urgenti». Così Elisa Davoli, cofondatrice di Eidos, coreografa e responsabile del dipartimento di danza moderna e contemporanea ci spiega il motivo per cui la storica scuola reggiana sarà mercoledì 26 novembre tra i protagonisti al Teatro Ariosto di “Invivavoce-Storie sommerse di violenza di genere”». Non è la prima volta che salite sul palco per fare sentire la vostra voce contro la violenza sulle donne. «Assolutamente no. Ogni volta che si presenta l’opportunità, noi partecipiamo con entusiasmo. Ricordo in particolare “Vittime del silenzio” del coreografo Arturo Cannistrà che abbiamo portato in scena alla Cavallerizza per gli studenti insieme ad altre scuole di danza. In particolare lo spettacolo si interrogava sulle motivazioni storico-culturali del silenzio che circonda il fenomeno della violenza sulle donne». Quest’anno, nel vostro saggio di fine anno, avete portato sul palco “Sui passi di Matilde”. E parte della coreografia sarà riproposta in occasione di Invivavoce. Perché Matilde? «Perché Matilde di Canossa affrontò sofferenze ed umiliazioni proprio in quanto donna. Matilde è stata annullata nel “dovere”, ha subito violenze inaudite e non ha potuto vivere la dimensione del desiderio. Quindi una figura lontana nel tempo ma una vicenda, la sua, ancora molto attuale». Da Eidos passano quotidianamente centinaia di ragazze e ragazzi. Quanto vi sentite responsabili, voi insegnanti, se parliamo di prevenzione rispetto ad atteggiamenti sessisti ancora prima che violenti. «Di sensibilizzazione ce n’è tanta. Anche noi, a scuola, parliamo spesso di questi argomenti con i nostri allievi. Ma sono anche convinta che fondamentale sia la famiglia, e parlo di qualsiasi tipo di famiglia, non necessariamente quella tradizionale. Perché se le informazioni oggi non mancano, forse quello che manca è la loro rielaborazione. Davanti alla notizia di un femminicidio, ascoltata al telegiornale, in famiglia se ne parla? Si discute? Ci si confronta? Ecco, questo per me è fondamentale». Un comportamento che più di ogni altro la urta? «Potrebbe apparire banale ma non lo è. Mi infastidisce molto quando, per esempio all’interno di una scuola, passa l’idea “ma come sei vestita?”. Vedo nelle ragazze un grande bisogno di esprimersi e anche se posso capire l’esigenza del decoro, io mi chiedo “posso essere chi voglio senza essere discriminata?”. Purtroppo, ancora oggi, quella che è voglia di vivere e di esprimersi viene punita da società profondamente maschilista».

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