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Modena. La storia del calcio e gli stranieri in Italia: «Un fenomeno sociale e di costume»

Davide Berti
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Presentata la nuova opera degli studiosi Molinari e Toni

09 ottobre 2023
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«Seguire le vicende dei calciatori stranieri approdati in Italia permette di ricostruire una storia della società e del costume nazionali e aiuta a capire meglio il calcio, le sue tendenze e contraddizioni storiche».

Così scrive Sergio Giuntini, presidente della Società Italiana di Storia dello Sport, nella prefazione al nuovo libro di Alberto Molinari e Gioacchino Toni, I migranti del pallone (Le Monnier 2023).

I due autori modenesi, dopo aver dato alle stampe Storia di sport e politica (Mimesis 2018), tornano ad occuparsi di sport convinti che questo possa rivelarsi una chiave di lettura utile per indagare, più in generale, la storia della società e del costume di un paese e di un’epoca.

«La scelta di ricostruire la presenza dei calciatori stranieri in Italia – sostiene Molinari – deriva dalla constatazione che la storia del calcio sin dalle sue origini è stata caratterizzata dalla mobilità dei giocatori, non a caso a introdurre questo sport nel nostro paese sono stati svizzeri e inglesi. Abbiamo dunque voluto ricostruire il caso italiano a partire dagli albori del calcio per arrivare alla “Sentenza Bosman” del 1995 che ha liberalizzato i trasferimenti dei calciatori nell’Unione europea».

«Basata su numerose fonti a stampa e su documenti di archivio, la nostra ricerca – aggiunge Toni – ha inteso ripercorrere la storia dei calciatori e degli allenatori stranieri in Italia, una presenza che ha inciso sul nostro calcio dal punto di vista sportivo ed economico, ha suscitato passioni contrastanti, ha alimentato polemiche politiche e contese giuridiche rappresentando gli atteggiamenti delle istituzioni e dell’opinione pubblica nei confronti della presenza straniera nel nostro paese in generale».

Nel libro vengono ripercorse le vicende delle migrazioni calcistiche verso l’Italia non solo dal punto di vista sportivo, sociale, politico, economico ma anche culturale e di costume. «Si sono volute indagare anche le modalità con cui i calciatori e gli allenatori stranieri si sono inseriti nel nostro Paese e quelle con cui sono stati accolti, tra curiosità, fascinazione, esotismo e pulsioni razziste. Sono stati presi in considerazione – afferma Molinari – i calciatori più rappresentativi e di maggiore valore tecnico, quelli che costituiscono casi interessanti per diversi risvolti delle loro vicende sportive, politiche, umane e di costume».

Il libro ricostruisce in maniera puntale come in Italia nei confronti dei calciatori stranieri si siano alternati momenti di apertura ad altri di chiusura.

«L’apertura o meno agli atleti provenienti dall’estero – spiega Toni – è in buona parte derivata dagli accesi dibatti che hanno coinvolto le forze politiche, i vertici del calcio, le società, le associazioni dei giocatori, gli organismi politici e sportivi europei, i media e l’opinione pubblica. Momenti di chiusura agli stranieri si hanno, ad esempio, sul finire degli anni Venti, quando viene consentito l’arrivo ai soli sudamericani di origini italiane, all’epoca definiti “rimpatriati”. Altri momenti di chiusura si hanno nei primi anni Cinquanta per iniziativa politica di Giulio Andreotti sulla spinta del Coni guidato da Giulio Onesti e di nuovo a metà degli anni Sessanta».

«Frequentemente – aggiunge Molinari – a motivare la scelta della chiusura delle frontiere sono stati gli insuccessi della nazionale. Il dibattito circa i vantaggi e i limiti dell’apporto straniero al calcio nazionale è una costante della storia italiana e passando in rassegna il dibattito sulla stampa ci si imbatte frequentemente in prese di posizione un po’ semplicistiche e demagogiche».