Giulia, atleta e mamma, in gara con la figlia: «Sogno le Olimpiadi 2028 con lei»
Grassia, campionessa modenese di tiro a volo classe 1998, ha vinto la medaglia d’oro nell’Emir Cup 2025 insieme alla piccola Mariasole: «Maternità e sport senza compromessi, fare parte dell’Esercito mi ha aiutato molto»
MASSA MARTANA (PERUGIA). Sul podio dell’Emir Cup 2025, con la medaglia d’oro al collo, Giulia Grassia alza il braccio in segno di vittoria. Nell’altro tiene la figlia neonata, Mariasole. Non è una concessione all’immagine, ma una scelta concreta: Giulia ha deciso di non separare la maternità dall’essere atleta, anzi, di viverle insieme.
Chi è Giulia Grassia
Classe 1998, campionessa di tiro a volo, un curriculum che parla da solo: tre titoli italiani, due bronzi in Coppa del Mondo Juniores, settimo posto agli Europei di Larnaca, due Ori in World Championships, un argento nella World Cup e un bronzo nella European Championships. Appartiene al Gruppo Sportivo dell’Esercito e gareggia da anni nella specialità del Trap. Dopo un’operazione a polso e gomito, è tornata in pedana nel 2024, incinta di poche settimane. Ha vinto, ancora. «Ci tenevo a chiudere la stagione con il campionato italiano. Avevo appena ripreso dopo l’intervento, ed ero già incinta. Sapevo che sarebbe stata la mia ultima gara per un po’».
La nascita della figlia
Giulia è rientrata in pedana pochi mesi dopo il parto. Ma non da sola. Ha chiesto alla Federazione di poter portare con sé la figlia durante le gare, conciliando l’allattamento con gli impegni sportivi. Una richiesta accolta con disponibilità: «Mi hanno messo in condizione di gareggiare, sapendo che la bambina era con me. A volte è venuto il mio compagno, altre i nonni. Non è previsto un supporto esterno, ma ci siamo organizzati». Anche per questo, la sua presenza sul podio con la figlia in braccio non è simbolica: è strutturale. Una madre può essere un’atleta di vertice, se l’ambiente lo consente. Un dettaglio sorprendente ma perfettamente logico, racconta quanto questa vicinanza sia reale: «La bambina non si spaventa quando sente gli spari. Le ho messo le cuffie, certo, ma riconosce quei rumori perché li ha già sentiti nella pancia. Ho continuato ad allenarmi durante la gravidanza».
Maternità e sport
Non si tratta solo di logistica. In gioco c’è un modo diverso di intendere la presenza delle donne nello sport: non più corpi da proteggere o escludere, ma soggetti attivi, in grado di gestire complessità con competenza. Giulia ha potuto contare su uno dei pochi canali che in Italia offrono tutela economica alle atlete in gravidanza: quello dei corpi militari. «Sono stata in maternità dal quinto mese fino a tre mesi dopo il parto, retribuita. È un’opportunità che molte non hanno». La riflessione si allarga: «Gli sportivi che non fanno parte dei gruppi militari non sono considerati professionisti. Se una donna atleta rimane incinta, spesso deve fermarsi senza sostegno». Giulia sottolinea come nel suo caso la continuità di allenamento – seguita da uno staff – sia stata possibile anche per mantenere salute e tono muscolare durante e dopo la gravidanza. Una possibilità che dovrebbe essere garantita, non conquistata. «Allenarsi in gravidanza non è un capriccio. È parte della preparazione, della salute mentale e fisica. Finché non ci sono controindicazioni, è non solo possibile, ma auspicabile. Il problema è quando non ti viene data la possibilità di scegliere».
Mirino su Los Angeles 2028
Con la sua scelta, Giulia sfata anche un pregiudizio duro a morire: quello secondo cui la maternità toglie lucidità o tenuta fisica alle donne. Al contrario, la sua esperienza dimostra che diventare madre può aggiungere consapevolezza, energia, profondità. Il prossimo obiettivo ha un nome preciso: Los Angeles 2028. Nessuna dichiarazione enfatica, solo concentrazione e preparazione. Ma è chiaro che Giulia ci crede. E, se sarà possibile, la bambina andrà con lei: «Sarà parte della squadra». Nessuna “super mamma”, nessuna “donna che ce la fa nonostante tutto”. Solo una professionista che chiede di poter lavorare nelle condizioni adeguate, e che sta dimostrando che essere madre e atleta non sono due identità in conflitto, ma due facce della stessa disciplina. Come quella foto sul podio: naturale, potente, necessaria.
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