Gazzetta di Modena

in piazza a castelnuovo

Con Vito un inno al... sapore dei versi

di Michele Fuoco
Con Vito un inno al... sapore dei versi

L’attore bolognese ha interpretato Pascoli, Gozzano, Saba, Giudici

28 settembre 2014
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CASTELNUOVO. Risate a crepapelle, l'altra sera, in piazza con Vito che ha tessuto legami tra cibo e poesia, anche attraverso brani di famosi autori. Uno spettacolo di autentica saporosità, con episodi di coloriture estremamente quotidiane, legate alle esperienze personali e familiari dell'attore. Ma non potevano mancare gli sconfinamenti nel campo dell'eros, quasi a trovare corrispondenze tra la sazietà del cibo a quella dei sensi. La parte puramente letteraria si è fondata su testi di Pascoli che, in dialogo poetico con il giornalista Guido Bianchi, sostiene la maggiore bontà del risotto romagnolesco rispetto a quello milanese; di Guido Gozzano che parla delle “golose” torinesi, di cui è innamorato, che mangiano le paste nelle confetterie; di Umberto Saba che, nel 1931, si sofferma sulla cucina economica, lodando “le delizie (la polenta...) dell'anima mia”; di Giovanni Giudici che esalta “le ore migliori”, quando il cibo conforta, dopo la fatica; di Gianni Rodari che vorrebbe essere fornaio per fare una pagnotta così grande da sfamare tutti. Così “un giorno senza fame, sarebbe il più bel giorno della storia”. E sostenendo una vicinanza stretta tra sapori, profumi e parole, il critico Roberto Galaverni ha ricordato, durante la presentazione, la vasta letteratura che connota questo tema, a partire dall'Odissea, con il naufrago Ulisse che, raccolto da Nausica, può godere non solo di un lauto pasto ma anche dei versi cantati da Demodoco. L'ironia è davvero il sale della vita. E con giocosa benevolenza Vito si è fatto interprete della lunga filastrocca “L'angoscia del dì di festa” dell'estroso giovane di Castelnuovo Enrico Saccà. Una narrazione sorprendente, con cui l'attore bolognese è riuscito a ritagliare scene e situazioni, chiamando in causa i tortellini (la storica disfida è sempre tra Modena e Bologna) della nonna Egle che, una volta, si mangiavano, con tutti i crismi dell'autentica e bontà, solo a Natale e Pasqua. Guai a non dosare bene gli ingredienti e non curare bene la sfoglia. Ci si poteva rovinare la festa. Era il nonno a decretare la squisitezza, con lo sguardo che saliva al cielo. Il risucchio era d'obbligo. Un inno, quindi, alla buona cucina. E una vita di appagamenti, di godimenti va dalla passione per il cibo a quella amorosa. Inevitabile citare certe trasgressioni di Cesare Zavattini che Vito ha conosciuto. Come ha conosciuto Fellini, con il quale ha partecipato al film “La Voce della Luna”.