Gazzetta di Modena

Castelfranco, con “Riccardo 3” un viaggio tra Shakespeare e la follia

ANDREA MARCHESELLI
Castelfranco, con “Riccardo 3” un viaggio tra Shakespeare e la follia

Lo spettacolo, dopo il Teatro delle Passioni, domani va in scena al Dadà

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CASTELFRANCO. Liberamente ispirato al “Riccardo III” shakespeariano ed ai crimini di Jean-Claude Romand, un sedicente medico francese autore di una serie di efferati delitti, “Riccardo 3. L’avversario”, lo spettacolo che Enzo Vetrano e Stefano Randisi hanno realizzato per Emilia Romagna Teatro su un testo di Francesco Niccolini, è una sorta di viaggio a più livelli nel mondo del teatro, della malattia mentale, dell’idea dello spazio onirico come sede della ricostruzione metaforica dell’esistenza.

Presentato al Teatro delle Passioni la settimana appena conclusa e in scena domani sera (ore 21) al Teatro Dadà di Castelfranco Emilia, lo spettacolo è costruito curiosamente, ma anche con sapienza drammatica, con l’interpolazione fra due mondi, quello quattrocentesco del famigerato re d’Inghilterra e quello di un ospedale, presumibilmente psichiatrico, gelido quanto asettico.

Non si capisce bene per tutta la rappresentazione chi siano veramente i personaggi che interpretano i ruoli di Riccardo e dei vari Clarence, Buckingham, Richmond, Hastings, Lady Anna o Elisabetta, i protagonisti della storia narrata da Shakespeare: una figura parrebbe essere un malato mentale, o forse proprio un pazzo assassino, gli altri sembrerebbero medici e infermieri della clinica (o di un manicomio criminale?) impegnati in un gioco metalinguistico che rielabora la vicenda di Riccardo.

Un mistero, insomma, aleggia su tutta questa messa in scena che potrebbe anche essere un esperimento terapeutico, o piuttosto un’avventura frutto di un’ipnosi. Il fatto è che la sequenza delle trame ordite da Riccardo di Gloucester per impossessarsi del potere e la fine cruenta dei suoi sogni di gloria riemergono pressoché integralmente con tre soli interpreti, Vetrano, Randisi e Giovanni Moschella: il primo è il re (il pazzo?), gli altri tutti gli altri personaggi, con un gioco scenico che permette loro di mutare aspetto formale rimanendo sempre gli stessi. Armati ora di una cartella clinica, ora di uno strumento medico, con una corona che campeggia su un letto e che è l’unico elemento colorato della scena, sembrano stare lì apposta perché ci si chieda, inizialmente, chi mai potrebbero essere, poi poco alla volta si viene trascinati nel gioco scenico e si sprofonda nella storia che rimane una delle più turpi, ma nonostante ciò una delle più affascinanti, del teatro moderno.

Vetrano è come sempre molto convincente in questi personaggi che trovano motivo di essere nel proprio disagio esistenziale, che lui riesce a fare emergere con un lavoro di scavo interiore quasi da brividi; Randisi e Moschella lo supportano con la professionalità che permette loro di essere sempre credibili anche nei panni più improbabili, scherzi del teatro, certo, ma impensabili senza la necessaria verve attoriale. —

ANDREA MARCHESELLI