Celestini: «25 Aprile, un giorno da vivere come un’opportunità di pacificazione»
L’attore sarà al concertone di Villa Sorra. «Parlerò di memoria attiva, delle tante analogie tra il fascismo e la nostra epoca»
MODENA . «Io, come attore, ho sempre pensato che fosse importante avere un repertorio, per arrivare nei luoghi non portando il proprio spettacolo come un’astronave che atterra e non interagisce con chi si trova su quel pianeta». Ascanio Celestini non vuole essere un’astronave, non vuole parlare di guerra e di liberazione come di un evento che riguarda un mondo lontano e distante.
Assieme a Roberto Vecchioni, Cisco, Banco del Mutuo Soccorso e tanti altri artisti, parteciperà alle celebrazioni della Festa di Liberazione nella cornice di Villa Sorra per ricordare, commemorare e riflettere sul significato del 25 Aprile.
«Credo che soprattutto in questi ultimi anni - continua Celestini - le proteste riguardo questa celebrazione siano pretestuose. È come se si volesse attribuire la fine delle guerra solo ad una parte trascurando quella fondamentale della Resistenza. Chi fa polemica lo fa per alzare polvere, soffiare sul fuoco. Dietro c’è un’altra idea di guerra e dell’occupazione. E chi polemizza sono soprattutto i partiti che si attaccano al patriottismo ma che in realtà nascondono una visione della politica non patriottica ma fascista».
Cosa significa parlare di Liberazione oggi?
«Raccontare la fine dell’occupazione dovrebbe significare raccontare la fine di tutte le occupazioni e in tutte le zone di Italia. Non è avvenuta contemporaneamente in tutta Italia, ma con il 25 Aprile si è segnato un punto. È cominciata la difficile ricostruzione, l’opera di riconciliazione mai del tutto completata. Questo Paese il 26 Aprile non era un Paese già riconciliato, una parte consistente era comunque fascista perché fascista lo era stata. In Italia non c’è stata alcuna Norimberga, ma è importante ricordare che il fascismo non è meno responsabile del nazismo: ricordiamoci che in Italia i campi di concentramento ci sono stati. Ricordiamoci dei tanti, anche italiani, che sono morti».
Come si è operata questa riconciliazione?
«In Italia è stata scelta la strada delle grandi amnistie. Questa idea di riconciliazione ha fatto sì che nel Paese non ci fosse una guerra civile: era uno dei possibili scenari post bellici. Proprio per questo penso che il 25 Aprile dovrebbe essere particolarmente importante proprio per coloro che non si sentono riconciliati: bisognerebbe affrontarlo come gesto di pacificazione. In questi anni la politica spesso ha soffiato sul fuoco e spinto i cittadini a provare invece sentimenti di rivalsa, l’uno verso l’altro, più che solidarietà».
Come strutturerà la sua performance?
«Io penso ad un intervento che sia soprattutto volto a raccontare la memoria come qualcosa di presente. Quando noi facciamo ordine in casa una parte di oggetti la teniamo, una parte la mettiamo in cantina e altri oggetti li buttiamo. La memoria è fare ordine. Non vuol dire mai tenere tutto: non tutto ha un valore inestimabile. È difficile relazionarsi ad un avvenimento di questa portata e così lontano nel tempo e fare sì che questo rientri nella memoria. È difficile affrontarlo restando fedeli ma mantenendo uno sguardo legato alla contemporaneità».
Che cosa c’è di quella storia che ancora ci riguarda?
«Una cosa che ritengo fondamentale è la tematica di come il fascismo ha creato consenso, con la semplificazione e la velocità della comunicazione. Oggi viviamo in un epoca dove questo sta nuovamente accadendo. Analizzarlo e capirlo ci serve ad accorgerci delle dinamiche presenti, individuarle e riconoscerle. Sicuramente cercherò di portare questo messaggio sul palco. È memoria attiva e utile, memoria vicina e presente». —