Gazzetta di Modena

Spettatore seriale

Modena. Allo Storchi "La commedia delle Vanità" di Longhi, opera titanica

Andrea Marcheselli
Modena. Allo Storchi "La commedia delle Vanità" di Longhi, opera titanica

È una produzione che ha un che di colossale, che impiega oltre una ventina di attori, due musicisti ai margini della scena, ha nella scenografia di Guia Buzzi una componente fondamentale che proietta lo spettatore in una dimensione certamente coinvolgente. Nel suo titanismo, però, trova anche un proprio limite: la durata  è un discreto ostacolo a mantenere la concentrazione indispensabile a cogliere la raffinatezza degli infiniti rimandi socioculturali intrinseci all’opera.

04 dicembre 2019
3 MINUTI DI LETTURA





MODENA È stata quasi un’operazione archeologica aver riesumato “La commedia della vanità” di Elias Canetti, rimasta sepolta, come le altre due sue opere teatrali, sotto la mole di saggi e testi diaristici, oltre al più celebre “Auto da fè”, che hanno portato l’autore svizzero a ricevere il Nobel per la letteratura.

La scelta di Claudio Longhi di allestirne una riduzione/adattamento (presentata in prima assoluta al Teatro Storchi dal 27 novembre all’8 dicembre) è da collocare all’interno della riflessione che con Ert da tempo sta compiendo riguardo al tema dell’identità europea che il XX secolo ha trasmesso al nostro presente, attorno cui occorre protrarre ogni indagine utile a non ripercorre certe catastrofiche strade che hanno invece caratterizzato il Novecento.

Scritta nei primi anni Trenta, pubblicata solo nel 1950 e messa in scena per la prima volta nel 1965, la commedia canettiana è testo di impressionante densità di contenuti. Prendendo spunto dal rogo nazista dei libri del ’33 propone un’altra distruzione devastante, imposta da un immaginario (ma non troppo) governo totalitario, quella delle immagini, attraverso la proibizione di ogni strumento che possa riprodurle, a partire dagli specchi, decretando la pena capitale per i trasgressori.

La massa condizionata dalla propaganda non può che farsi trascinare entusiasticamente all’esecuzione del diktat; tuttavia, col trascorrere del tempo, ci si renderà conto che non è il narcisismo, come si è voluto far credere alle folle, ad essere colpito dall’editto, bensì la stessa condizione identitaria di ciascuno, per cui poco alla volta il disagio si trasformerà in angoscia e il dissolvimento dell’io genererà il bisogno perverso di una guida incontrastata che dall’alto faccia da timone per tutti.

Lo spettacolo costruito da Longhi si rivolge a suggestioni provenienti da “Massa e potere”, rielabora i caratteri sulla scena affidando ad un unico interprete le principali figure maschili in cui si incarnano i diversi volti del potere, e lo stesso fa per quelle femminili; ambienta il tutto in un contesto circense che esalta i caratteri grotteschi delle situazioni che si vengono a creare, un po’ come nei ritratti caricaturati alla Otto Dix; concepisce l’allestimento come una sorta di grande “parade” indirizzata a trasformarsi in una parodia tragica macabra e irridente, paragonabile alle processioni dipinte sulle pareti delle chiese tirolesi nel XVI secolo.

È una produzione che ha un che di colossale, che impiega oltre una ventina di attori, due musicisti ai margini della scena, ha nella scenografia di Guia Buzzi una componente fondamentale che proietta lo spettatore in una dimensione certamente coinvolgente.

Nel suo titanismo, però, trova anche un proprio limite, giacché non basta aver ridotto forse addirittura della metà il testo originario per riportare lo spettacolo ad una fruibilità che non sia troppo faticosa: la durata (ben più delle tre ore e mezza inizialmente previste la sera in cui vi abbiamo assistito) è un discreto ostacolo a mantenere la concentrazione indispensabile a cogliere la raffinatezza degli infiniti rimandi socioculturali intrinseci all’opera, mentre la quantità dei materiali che vengono esposti rischia di diventare disorientante.

I tanti spunti di riflessione, le citazioni, i riferimenti di grande spessore che lo spettacolo contiene, come è consuetudine nei lavori del regista de “Il ratto d’Europa” e di “Istruzioni per non morire in pace”, rischiano pertanto, in questo caso, di disperdersi in un lavoro che potrebbe anche distribuirsi su almeno due o forse tre allestimenti.