Gazzetta di Modena

Spettatore seriale

Vignola, le barzellette di Celestini non creano la giusta empatia

Andrea Marcheselli
Vignola, le barzellette di Celestini non creano la giusta empatia

Lo spettacolo, in definitiva, regge drammaturgicamente, possiede contenuti che propongono riflessioni mentre si sorride, è interpretato con maestria ma nel complesso lascia qualcosa di irrisolto ne, probabilmente perché non è sufficiente esporre un paradosso nel dialogo con lo spettatore per conquistarlo.

18 gennaio 2020
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VIGNOLA  Non era certo intenzione di Ascanio Celestini ridurre l’idea dell’esistenza a una barzelletta, quando ha concepito il libro ”Barzellette” divenuto la base per l’omonimo spettacolo che ha proposto al Teatro Fabbri di Vignola lo scorso giovedì sera.

Narratore geniale nella sua capacità di cogliere gli aspetti essenziali della vita e di restituirli sul filo di un’ironia che aggiunge spessore alle sue considerazioni, Celestini ha trovato nella dimensione teatrale uno degli ambiti ideali entro cui proporsi anche grazie all’efficacia comunicativa del suo modo di raccontare, straripante grazia, dolcezza, innocenza che però scaturiscono da un pensiero di grande profondità. In questo caso, la storiella umoristica si propone come chiave di lettura delle diverse vicende che ci affannano, ci accompagnano, rappresentano le situazioni con le quali ci si deve confrontare quotidianamente, divenendo uno specchio deformato, ancorché veritiero, del nostro esistere.

In una cornice elementare attraverso una sequenza di microstorie per lo più ridicole o grottesche insomma Celestini cerca di raccontarsi e raccontarci, con la collaborazione sul palco di Gianluca Casadei, musicista e complice muto e impassibile dell’attore.

Una piccola stazione, una panchina di attesa sono il punto di partenza e di arrivo della vicenda narrata da un ferroviere che raccoglie quanto lasciato dai viaggiatori che incontra: sconosciuti che dicono tanto di loro stessi attraverso storie per lo più buffe, barzellette appunto, occasioni per ridere, ma non solo, giacché ogni barzelletta cela dietro di sé un mondo, fatto, non di rado, di intolleranze, pregiudizi. Ci sono poi le barzellette che mitigano gli effetti delle vicende sfortunate o dolorose, quelle che ironizzano sulla propria condizione, quelle che semplicemente aiutano a fare “buon sangue” con una risata liberatoria. Il problema, per lo spettacolo, è che probabilmente questa non è la dimensione ideale per le corde espressive di Celestini.

L’arte della barzelletta è antica e si costruisce su regole non banali, Chiaramente l’artista non ha voluto fare il verso o confrontarsi con il genio di Walter Chiari, Renato Rascel o Gino Bramieri, però evocandone la dimensione comica ha forse sconfinato in un territorio non completamente suo, ricco piuttosto di poesia, di raffinato umorismo più prossimo alle assurdità delle incongruenze infantili che ai tempi tecnici del motto di spirito.

Lo spettacolo, in definitiva, regge drammaturgicamente, possiede contenuti che propongono riflessioni mentre si sorride, è interpretato con maestria ma nel complesso lascia qualcosa di irrisolto, probabilmente perché non è sufficiente esporre un paradosso nel dialogo con lo spettatore per conquistarlo. Gli applausi non scroscianti come al solito, alla fine, probabilmente hanno sottolineato proprio questo, non si è sviluppata la consueta empatia che solitamente si crea tra Ascanio Celestini e il suo pubblico.