Un saluto che diventa promessa di una corrispondenza amorosa. È quello di Beatrice a Dante, allora diciottenni, che fa accendere l’anima del poeta. Ma il loro primo incontro è a nove anni. Il saluto si fa storia di un amore singolare che eleva la fanciulla ad immagine di purezza, di perfezione, determinando una incomparabile letizia. Un vagheggiamento che porta Beatrice a protagonista nella Vita Nova, nel Convivio, nella Commedia. E ora, in primo piano, nel libro “Le donne di Dante” di Marco Santagata, famoso scrittore e critico di Zocca, scomparso circa quattro mesi fa, a 73 anni. Un volume (Il Mulino, pp. 424, euro 38) dove emergono figure femminili della famiglia del poeta (la madre Bella, la moglie Gemma Donati, la figlia Antonia), ma anche dame del tempo, come Francesca da Rimini e Pia de’ Tolomei. L’indagine è meticolosa. Santagata consente al lettore di ripercorrere il cammino dell’esistenza di Dante, ma pure di cogliere lo spirito del suo tempo. E non mancano aspetti inediti, sorprendenti. In questo consiste il valore dell’elegante pubblicazione che costituisce un bel regalo alla cultura, nell’anno in cui che si celebra il sommo poeta nel settimo centenario dalla morte. A Dante viene associato inevitabilmente Beatrice che è al centro di più capitoli di questo libro. «Il vero amore è gratuito e trova pieno e gioioso appagamento nella contemplazione estatica dell’amata; scopo della poesia è di lodarne la meraviglia. È Dante stesso a presentare – spiega Santagata – quell’idea del’amore come una “illuminazione” inattesa». La beatitudine risiede «in quelle parole che lodano la donna mia». Beatrice è l’unica capace di compiere miracoli, per gli effetti che la sua presenza produce su chi la vede, viene salutato e l’ascolta. Un essere eccezionale che testimonia in terra la perfezione del cielo. Da qui l’analogia tra lei e Cristo… Dante non ne esalta la bellezza, sorvola sul suo aspetto fisico. Per lei impiega gli aggettivi “gentilissima”, “gloriosa” e, dopo la sua morte prematura “anima bellissima”. «Beatrice – precisa Santagata – è sì un miracolo, ma non è un miracolo di bellezza né un miracolo per la sua bellezza». Il poeta resta affascinato quando lei porge il suo dolcissimo saluto. Ne soffre quando l’amata glielo nega, per le attenzioni di lui verso un’altra donna. La poesia amorosa continua a perpetuare il rapporto tra i due anche dopo la scomparsa improvvisa di Bice (Portinari) ma Dante trova consolazione e diletto nella bellezza della “Donna Pietosa”, chiamata “Gentile”, di cui offrirà nel “Convivio” una raffigurazione allegorica, identificata nella filosofia, “Figlia di Dio”, che il poeta pratica. Ma il suo interesse si allarga ad altre creature, tra cui Donna Pietra, ispiratrici di versi pervasi di eros e di una sensualità che fanno dimenticare i testi in lode a Beatrice che rimprovererà il poeta durante il loro incontro in Paradiso. E’ lei che si pone come termine unico di purezza, ma il desiderio di Dante è anche quello di confrontarsi, nella Commedia, con la varia umanità, in particolare con le nobildonne di cui si parlava a Firenze, con figure peccaminose, come Francesca da Rimini che nell’Inferno racconta quel bacio “galeotto”, con Paolo Malatesta, che costò loro la vita. In lei non c’è coscienza del peccato. E Santagata induce a riflettere sul fatto che Francesca si mostra, esibendo le sue letture di poesie e romanzi, una cattiva lettrice delle teorie cortesi. “Purtroppo ciò che lei chiama amore è lussuria e la letteratura di cui parla è da lei travisata». Con lo stesso acume lo studioso modenese affronta il caso di un’altra donna, in Purgatorio, vittima di un gesto infame del marito. È Pia, forse de’ Tolomei, perché non identificata come tale nella ricca documentazione della famiglia. Quelle sue parole «ricorditi di me, che son la Pia», vogliono essere una denuncia contro il consorte. Tra intrighi politici e amorosi anche Cunizza da Romano, donna immorale e dissoluta, ma guadagna il cielo di Venere (Paradiso) perché da vecchia si è dedicata ad opere di misericordia. Tra le donne che hanno più contato per Dante c’è la moglie Gemma Donati. Un matrimonio con i Donati era prestigioso socialmente e vantaggioso economicamente. E sarà Gemma con i genitori, i fratelli e i loro figli, ad aiutarlo materialmente nei momenti più duri quando, a circa 37 anni, scacciato dalla sua Firenze, va in esilio. Dei quattro figli, che nutrono un vero culto per il genitore, l’unica femmina è Antonia, monaca del monastero di Santo Stefano degli Ulivi a Ravenna, che assume il nome di Beatrice. Punto di riferimento anche la sorella maggiore, Tania, che avendo sposato il mercante Lapo Riccomanni, garantiva a Dante una protezione finanziaria. — © RIPRODUZIONE RISERVATA &nbsp;

Un saluto che diventa promessa di una corrispondenza amorosa. È quello di Beatrice a Dante, allor...

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Non c’è stata soltanto Beatrice ad alimentare la vena poetica del sommo Alighieri

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