Gazzetta di Modena

Spettatore seriale

Gifuni racconta Moro e allo Storchi coinvolge e commuove il pubblico

Andrea Marcheselli
Gifuni racconta Moro e allo Storchi coinvolge e commuove  il pubblico

03 ottobre 2021
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MODENA. La scarna scenografia introduce all’angosciante essenzialità della prigione. Sul palco un uomo, solo, a rimarcare la solitudine nella quale Aldo Moro ha trascorso le sue ultime settimane di vita, prigioniero politico delle Brigate rosse. Poi, l’aria si riempie delle parole che lo statista, in quei suoi ultimi giorni, pensava, scriveva, pronunciava, chissà che ogni tanto non urlasse, anche, nella indifferenza, di fatto, dei propri carcerieri ma anche di coloro – eccezion fatta, ovviamente, per i familiari - ai quali rivolgeva accorate richieste di aiuto, inviti a scelte umanitarie, considerazioni di logica politica.

Il rapimento e il conseguente omicidio di Aldo Moro resta uno dei tanti, troppi buchi neri della storia della Repubblica italiana, uno di quei “misteri” per modo di dire che gravano sulla coscienza collettiva di uno stato incline a nascondere sotto il tappeto le tracce di condotte su cui invece bisognerebbe continuare a discutere, per lo meno a riflettere, se non ci si vuole arrendere al fatto che non si arriverà mai a conoscerne la verità su mandanti e moventi. Invece, sulla vicenda Aldo Moro è calato un colpevole oblio, ci dice Fabrizio Gifuni introducendo “Con il vostro irridente silenzio”, il suo “Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro” che presenta allo Storchi in apertura della nuova stagione di prosa, additando la trascuratezza con la quale lo stato, la politica, la stampa, in definitiva l’intero mondo civile tratta il fiume di parole prodotto dallo statista durante la prigionia alla stregua di una reiterazione costante di quel terribile sacrificio.

Gifuni ha costruito una nuova orazione civile selezionando tra le carte scritte da Moro in quei 55 giorni lettere ai familiari, alle istituzioni, ai presunti amici politici, che intercala a pagine del memoriale che Moro compilò nel crescendo dell’angoscia in cui era gettato dai carcerieri ma forse ancor più da coloro che, dall’esterno, lo davano in sostanza per politicamente finito e dunque morto molto prima che questo avvenisse fisicamente.

Allora si parlava di opportunità politica, oggi è ben più plausibile ritenere che dietro a tutto ciò ci fossero progetti che ancora non si vuole fare emergere compiutamente, al di là di quello che già si crede di sapere ancorché pieno di incongruenze.

Il pubblico dello Storchi, catturato per un paio di ore da una performance che si sviluppa in un crescendo costante di affanno e commozione, ha lungamente applaudito sia l’attore sul palco che la composizione del testo che l’idea, insomma, generale di uno spettacolo che Gifuni aggiunge alla lacerante “autobiografia della nazione” che da alcuni anni sta componendo, dopo i lavori a suo tempo realizzati su Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini, per non disperdere al vento momenti cardine della nostra storia.