Gazzetta di Modena

Libri

Diventare archeologo e sentirsi come Asterix 

Diventare archeologo e sentirsi come Asterix 

Vincenzo Antonio Scalfari presenta il suo romanzo d’esordio

07 giugno 2023
4 MINUTI DI LETTURA





Va a finire che uno studia, diventa archeologo e poi si sente come Asterix, «invincibile in combattimento ma spossato dalla burocrazia latina». Perché l’archeologia è una sirena irresistibile, da seguire a tutti i costi, «e la sera sono birre su birre, fiumi di discorsi in un miscuglio di lingue». E si parla l’esperanto degli scavi, finché «lei fugge con il primo irlandese che passa» e Tiermes, ex culla dell’amore, diventa «un deserto di avvoltoi». Va a finire così, oppure è così che comincia la storia di Vincenzo Antonio Scalfari, calabrese d’origine, modenese d’adozione, che firma «A pala e piccone» (pp. 176, € 17,00, Marcos y Marcos) romanzo tragicomico d’esordio che presenterà venerdì 9 giugno alle 18,00 alla libreria Ubik di via dei Tintori in dialogo con lo scrittore Ugo Cornia. Scritto con piglio anticonformista e irresistibile ironia, il libro racconta le sorti di un giovane archeologo sul finire dei vent’anni. «E tu la insegui in Spagna, oppure insegui il tuo desiderio di sentirti ovunque straniero con la scusa di inseguire lei. Intanto ti tocca non avere più vent’anni, e la stanzetta nell’appartamento condiviso diventa pesante come il pensiero di scavare e scavare in un cimitero infinito, piccola tomba anche tu. Allora smetti di accanirti sui morti e vai a cercare pace tra i vivi, per sempre rimpiangendo i vent’anni che non avrai mai più». Vincenzo Scalfari, nato a Vibo Valentia nel 1979, vive a Modena da tempo, dove insegna lettere in un liceo.

La sua vita da ex Indiana Jones?

«Una vita di completa beatitudine, ma se avessi fatto il chimico o l’ingegnere sarebbe stata la stessa cosa, perché quando facevo l’archeologo ero giovane e quando si è giovani tutto sembra formidabile perché abbiamo grandi aspettative, grandi pensieri e pensiamo di essere invincibili».

Il suo romanzo è comico e tragico insieme, come la vita di un sognatore. È riuscito a restare aggrappato ai vent’anni? O le è toccato di entrare nel mondo degli adulti?

«Anche se ricordo i miei vent’anni con grande simpatia, non si può che vivere il tempo presente e quindi io vivo nel presente. Quanto al romanzo, è un romanzo di genere invettivo, con una narrazione affidata a una voce sfrenata che fa certamente ridere perché parla di argomenti serissimi, ma alterandone il comune significato per mezzo di ragionamenti paralogici. In questo modo mi è stato possibile parlare della memoria come di un disvalore e della storia come di una seduta psichiatrica di massa».

"Molti sono al mondo i cretini, ma mai nessun cretino sarà più cretino di un innamorato”. Conferma?

«Confermo. Ma io parlo degli innamoramenti in senso lato, e cioè delle passioni che portano ciascuno di noi a desiderare e a costruire idoli e sogni. Bisognerebbe vivere al modo degli epicurei, nella totale assenza di interessi a meno che questi non siano puramente intellettuali, ma non credo sia una dimensione facilmente raggiungibile».

Modena è una location meno esotica di altre che lei ha toccato in passato. Facendo l’insegnante, in Emilia, ha trovato pace tra i vivi?

«Della pace, non saprei dire; fino ai trent’anni mi sono spostato di città in città, non so più nemmeno io in quante case ho abitato, ma adesso sto bene a Modena, con mia moglie Rita e mio figlio Lucio; e poi questa è la città in cui ho avuto la fortuna di conoscere lo scrittore Ugo Cornia, a cui devo moltissimo, perché è per merito suo se ho ricominciato a scrivere dopo anni di inattività».

È ancora in bilico fra uno stile di vita frugale, da romano repubblicano, o decadente, da romano imperiale?

«Ah, ah, ah. Questo è uno dei tanti guai del protagonista del romanzo, che si ritrova in Spagna, spiantato, e dunque la sua è una frugalità necessaria. Per il resto, il giovanotto è uno sfaticato, allergico al lavoro, e anche piuttosto vizioso, ma in questo senso è un personaggio profondamente diverso da me».

L’emancipazione dai sogni è possibile?

«Spero proprio di no. Bisogna sempre sognare, a patto di non dimenticare che si sta sognando. La stessa vita è un sogno oppure un colossale scherzo organizzato da un dio privo del senso dell’umorismo. In ogni caso, a noi non resta che prenderla in giro e riderci su».l

© RIPRODUZIONE RISERVATA