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Modena, Nazzi va alle radici del male: «I cattivi esistono e sono tra noi»

Arianna De Micheli
Modena, Nazzi va alle radici del male: «I cattivi esistono e sono tra noi»

Lo scrittore oggi al Monzani con dieci storie di assassini

08 dicembre 2023
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Modena «La descrizione in dettaglio degli omicidi è utile quando risulta indispensabile per comprendere le indagini successive. Non ha senso se è fine a sé stessa ma soltanto nell’ottica di una più profonda comprensione. Inoltre a me interessa il “dopo” che spesso viene trascurato dai media. Che cosa accade ai familiari delle vittime? Quale percorso seguono gli assassini? Le risposte sono sempre diverse, hanno un valore sociale importante che, una volta ribaditi i particolari macabri, spesso finisce nel dimenticatoio».

È proprio questo il quid che distingue “Il volto del male – storie di efferati assassini” edito da Mondadori e firmato dal giornalista Stefano Nazzi – autore tra l’altro di “Indagini”, podcast di successo – da molti altri libri che raccontano casi di una violenza inaudita soffermandosi, perlopiù, sui particolari agghiaccianti. Qui, agghiaccianti nella loro “banalità” – Hanna Arendt insegna – sono invece le dichiarazioni degli stessi “mostri”, che mostri in realtà non sono. «Lo rimarcò Ted Bundy quando disse: noi siamo i vostri mariti, i vostri figli», sottolinea Nazzi che oggi alle 17,30, presenterà «Il volto del male» al Forum Monzani di Modena. Ecco dunque che i presunti mostri si rivelano persone molto simili a noi che agiscono con violenza come conseguenza di quanto hanno seminato nel tempo. Ovvero, a detta dello stesso autore, pensando soltanto a sé stessi con l’obiettivo di massimizzare la propria utilità individuale. Stefano Nazzi ricorda al lettore dieci casi di cronaca nerissima ben noti al pubblico, se non altro per “sentito dire”, nell’ottica di una nuova una prospettiva: il poi. 

Coloro che vengono incarcerati per omicidio affrontano la perdita della libertà in modo assai differente. Pensiamo ad esempi ad Angelo Izzo, il più emblematico degli assassini del Circeo, oppure a Veronica, che insieme alle amiche Milena e Ambra massacrò Suor Maria Laura Mainetti. E che ha dichiarato “gli anni in carcere sono stati i più belli della mia vita, venivo ascoltata e qualcuno si prendeva cura di me”. Parole che sono un pugno nello stomaco, non trova?

«Impressionano perché nel caso di Chiavenna il male nasce da un vuoto pneumatico, dall’assenza di un progetto di vita, di sforzo delle singole persone per costruire un’aspettativa. Una volta in carcere Veronica inizia ad elaborare l’enormità di un gesto atroce privo di un reale movente. Di contro Izzo, soggetto del tutto anaffettivo, non mostra alcun interesse ad un eventuale ravvedimento. Ne è la riprova che appena messo nelle condizioni di poterlo fare uccide di nuovo».

Il contesto in cui cresciamo, non necessariamente determinante, influisce sulla capacità di tenere a bada la propria zona d’ombra?

«L’ambiente in cui una persona cresce e vive conta moltissimo, alcuni ricercatori anglosassoni sostengono addirittura che vi sia una predisposizione genetica nell’essere malvagi. Se respiriamo violenza è plausibile che prima o poi manifesteremo altrettanta violenza nei confronti altrui”.

Il male non è spettacolare ma umano, e dorme nel nostro letto e mangia al nostro tavolo. Parole del poeta britannico Wystan Hugh Auden (1907-1973) che, incipit del suo libro, risultano quantomai attuali e rimangono scolpite nella coscienza del lettore. Rispetto al passato oggi l’odio sembra “riservato” alle donne. È davvero così oppure il femminicidio è sempre sulla bocca di chiunque perché fa notizia?

«I dati non mentono: nel nostro paese sono diminuiti tutti i reati. Gli unici in costante crescita sono i reati informatici e le violenze sessuali. Il 48% degli omicidi avviene tra le mura domestiche, in famiglia e le vittime per l’80% sono appunto donne».

Perché “Il volto del male” ripropone proprio questi i dieci casi?

«Sono paradigmatici e dissimili l’uno dall’altro. Prendete Donato Bilancia, uno dei rari serial killer nostrani. Senza dubbio Bilancia era in preda ad un delirio di onnipotenza ma ancor prima era mosso dalla necessità compulsiva di uccidere. Si sentiva in grado di poter fare qualsiasi cosa».

Spesso i media motivano l’omicidio con un raptus. Raptus che in realtà, secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (American Psychiatric Association), non rientra neppure tra le psicopatologie. Temiamo quindi di guardare in faccia l’abisso, i tanti volti del male? 

«Pensare che le azioni malvagie siano frutto di un momento di follia in cui “si perde la testa” ci rassicura, ci pone al riparo dalle paure. Ci allontana da quel che più ci spaventa: i cattivi esistono».