Gazzetta di Modena

Il libro

Modena, “La favola di via Orfeo”: la sfida di Rebecca archeologa di se stessa

Modena, “La favola di via Orfeo”: la sfida di Rebecca archeologa di se stessa

Il romanzo di Majolino sabato alla libreria Ubik

09 febbraio 2024
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Un giorno un uomo misterioso incrocia lo sguardo di Rebecca in un bar di via Orfeo. Da allora tutto cambia. Rebecca Majolino scrive per lui poesie d’amore, frammenti, lettere, SMS: ci mette tutta la sua vita fisica e mentale, la fantasia e i cocci dei ricordi, da ricomporre in splendidi artefatti. Nonostante una malattia degenerativa Rebecca, archeologa di se stessa, ha composto “La Favola di Via Orfeo” seduta alla sua scrivania piena di scoiattoli, in una casa che è una foresta di libri, compiendo un vero e proprio viaggio interiore: camminando per le strade Rebecca rivisita città, chiese e castelli e procedendo con passo leggero tra una visione e l’altra qua e là coglie i colori della musica di un sontuoso Wagner, o di un complicatissimo e perfetto Bach.

L’opera sarà presentata alla libreria Ubik di Modena sabato 10 febbraio alle 17:30, con Silvia Franceschini e Francesco Bonfatti. Con “La Favola di Via Orfeo” Rebecca, per gli amici “la volpe”, dopo “La Memoria Perduta di Harmonizer” ci sorprende ancora, mentre il suo sorriso sfida mordace il mondo. 

C’è ironia, dramma e lirismo; protagoniste però sono le strade di Bologna. Sono anche le strade della mente, dei ricordi?

«Il bar all’angolo tra via Orfeo e via degli Angeli è vero, così come tutti i luoghi del libro. Un caro amico, Michele Masserenti, ha realizzato un disegno in acquerello del bar visto dall’alto, dal punto di vista di una rondine. Come dissi alla mia amica Silvia mentre scrivevo, in fondo l’operà è un cantico a Bologna e alle sue strade.

In un episodio c’è il mondo dei giocatori di scacchi online, come una selva in cui corrono qua e là improbabili cavalieri con nickname bizzarri. È appassionata di romanzi medievali?

«Amo sperimentare: nella parte che ho chiamato “Écrire” ad esempio ho voluto provare tanti possibili inizi, in un’architettura diversa dal solito. L’esperienza degli scacchi, che racconto in “Ravissement” è vera e ho pensato che potesse incuriosire lo sconosciuto. Ci sono testi poco noti, ma che conosco da sempre».

Le persone che hanno promosso questo libro sono definite la sua “compagnia dell’anello” e i riferimenti a Tolkien sono moltissimi. È stato un’ispirazione per lei?

«Questo libro è dedicato ai tanti che mi hanno aiutato in questi anni. Tolkien lo amo, ma non c’è solo lui: c’è anche il pilastro della musica e della filosofia tedesca, e non può mancare Nietzsche, il mio preferito».

Com’è la voce del misterioso sconosciuto?

« L’aggettivo migliore per descrivere quella voce che non scorderò mai è “ruvida”. È una voce bella, perché lui è una figura quasi selvaggia, anticonvenzionale, ma attraente. Il mio ideale è, sempre per tornare alle mie passioni, qualcuno dai tratti nordici».

Cita quadri, poesie, filosofi, a volte esprime la sua opinione sulle opere, invitando l’uomo misterioso a dire la sua. L’arte è un ponte per unire i vostri mondi interiori?

«L’intento era proprio questo. L’arte è stata una chiave per richiamarlo senza ricorrere ai soliti cliché, ma attraverso un mondo nascosto fatto di riferimenti letterari e di spunti. Io scrivevo con la lampada accesa sulla scrivania nella speranza che lui cogliesse il mio segnale. Volevo uscire dal mio studiolo letterario e andare nella realtà, ma anche far entrare la realtà nella mia camera. Non c’è più distinzione tra realtà e immaginazione perché io scrivo vivendo e vivo scrivendo».