Gazzetta di Modena

Il libro

Vecchioni: «La mia vita e la coscienza. Mi metto a nudo tra dolore e amore»

Laura Solieri
Vecchioni: «La mia vita e la coscienza. Mi metto a nudo tra dolore e amore»

Si intitola «Tra il silenzio e il tuono»: un romanzo che è una raccolta di lettere

08 marzo 2024
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Modena  Questa sera alle 21 al Bper Banca Forum Monzani a Modena si terrà la presentazione dell’ultimo libro di Roberto Vecchioni “Tra il silenzio e il tuono” (Einaudi) , un romanzo fatto di lettere, in cui si alternano due voci: da una parte c’è lui, Roberto Vecchioni, che racconta a un fantomatico nonno alcuni degli episodi più significativi della sua vita.

Il nonno, dal canto suo, non gli risponde mai: forse non ce n’è bisogno, forse lo conosce fin troppo bene. Le sue lettere sono invece indirizzate ad altri personaggi, veri o immaginari, e affrontano gli argomenti più disparati.

Che si tratti di Schubert, di bizzarre teorie sugli ingorghi stradali o di scrittori russi che conosce soltanto lui, ne scrive sempre con la medesima, grandissima passione.

E anche se le lettere di Roberto raccontano la storia di una vita e quelle del nonno sono puro pensiero, capita di rimanere spiazzati, perché ogni tanto parlano di qualcosa che sembra essere accaduto a entrambi.

Di un palco illuminato, ad esempio, e di un uomo che chiede di essere chiamato amore. Ma, soprattutto, della morte di un figlio, e del dolore lacerante che non ti abbandona mai.

Cinquantatrè lettere, cinquantatrè momenti sfolgoranti in un tempo in cui il prima e il dopo possono confondersi e persino illuminarsi a vicenda.

Vecchioni, tra il silenzio e il tuono, quante forme di ascolto della voce dell’altro ci possono essere?

«Infinite variazioni, tra il silenzio che appartiene all’immaginazione, allo spirito, all’anima, mentre il tuono invece appartiene ha quello che ho fatto e mi è stato fatto cioè alla vita, che pulsa molto: l’unico modo per acquietarla è rivolgersi alla spirito».

In questa fase della sua vita, si sente più il ragazzo che scrive o il nonno misterioso?

«Sono molto il nonno misterioso. Il ragazzo che scrive è la mia vita, quella vera, non c’è nemmeno una bugia in quella storia. È la vita reale, fatta di corpo e materia. Il nonno è la mia coscienza, sa tutto quello che ho vissuto e quindi non mi risponde. Parla ad altri dei suoi pensieri, del suo credo, della sua comicità, del suo modo di essere. Sono due entità che coesistono nella stessa persona ma sono disgiunte: una è la fisicità, l’altra la spiritualità».

Tra queste pagine, c’è anche tanto dolore, penso alla perdita di suo figlio. Affidare il dolore alla carta, lo rende più sopportabile?

«Si, è stata una piccola parte di liberazione anche se la liberazione totale non esiste in cose di questo genere. Quando parlo di questa perdita, quando parlo di mio figlio, non vado mai sull’ovvio, nascondo tutto dietro metafore come quella del cavaliere, e poi c’è la verità dell’ospedale ma anche nel racconto della notte tremenda del 17 aprile, io non parlo di dolore mio ma del dolore delle cose: delle piastrelle, dei neon, dei rami. Faccio sì che tutto il mondo intorno a me sia dolore».

Nella società della disgregazione dei legami, ci fa più paura essere chiamati amore o chiedere di essere chiamati amore?

«Personalmente, quando qualcuno mi chiama amore sono solo felice. È un bellissimo modo di chiamare, poi gli amori possono essere tante cose: l’amicizia, la simpatia, la sopportabilità. Forse fa più paura ai giovani sentirsi chiamare amore, perché stanno lì che si chiedono se sarà vero o no, cosa accadrà, siamo troppo giovani… Succede che c’è sempre un po’di imbarazzo, soprattutto nei maschi che sono sempre più indifesi delle femmine e anche un po’più imbranati (sorride ndr) ».

Da professore, qual è l’insegnamento più grande che ha ricevuto, magari dai suoi alunni?

«Dai miei alunni ne ho ricevuti tantissimi di insegnamenti, soprattutto quello del bisogno assoluto di una guida vera. Dentro a molti di loro ho percepito la necessità di avere alcune certezze nella vita, e sempre loro mi hanno fatto capire che anch’io avevo lo stesso bisogno di certezze. Perché non si può andare avanti a caso, ci vuole sempre qualche punto di approdo e loro me lo hanno fatto capire: anche questa è una forma d’amore. Poi, a mia volta, ho avuto alcuni professori splendidi che mi hanno insegnato la cultura antica che oggi vale ancora ed è importantissima, e lo hanno fatto in modo aperto, non provocatorio, non crudele: è come un dono che mi è stato fatto».

Oggi è la Festa della Donna: lei ha sempre omaggiato l’universo femminile, a partire dalla figura di sua madre.

«Qualche passo avanti si è fatto, nel senso che c’è una maggiore coscienza comune dell’uguaglianza di genere, grazie anche alle tante e necessarie manifestazioni che si fanno. Una parte di maschi è sulla buona strada, poi purtroppo ci sono sempre quelli, troppi, che non demordono e pensano di possedere il mondo intero quindi anche le loro compagne, mogli. Pensando soprattutto al mondo del lavoro, credo che le donne debbano abbandonare qualsiasi frammento di implicito timore reverenziale verso il maschio, perché non devono mai temere di essere da meno, non devono mai avere paura di non essere all’altezza».