Gazzetta di Modena

Lo spettacolo

Modena, il monologo teatrale di Di Battista sulle guerre in Ucraina e Palestina

di Ginevramaria Bianchi
Modena, il monologo teatrale di Di Battista sulle guerre in Ucraina e Palestina

Questa sera, giovedì 28 novembre, alle 21 al Teatro Michelangelo vanno in scena “Scomode verità”

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MODENA. Un pozzo cementificato. Una casa occupata. Una madre che piange sul corpo del figlio. Carbonizzato. Sono scene che si ripetono ogni giorno in quella parte di mondo definita "meno fortunata" o, semplicemente, "sbagliata". Eppure, sui media occidentali prevale un’altra narrazione. È proprio da qui che Alessandro Di Battista parte per scardinare le grandi bugie costruite attorno ai conflitti contemporanei. Con il suo nuovo monologo teatrale "Scomode verità. Dalla guerra in Ucraina al massacro di Gaza", che porterà al teatro Michelangelo giovedì alle 21, Di Battista denuncia l’uso strumentale della propaganda e delle fake news, dal passato al presente, per giustificare guerre e massacri. Non risparmia critiche ai politici italiani ed europei, definiti "camerieri dei potenti", né al sistema mediatico, che accusa di essere il megafono di interessi economici e militari. Un racconto incalzante, crudo, che attraversa Afghanistan, Iraq, Libia, Ucraina e Gaza, concludendosi con un appello alla partecipazione attiva. In questa intervista alla Gazzetta, l’ex deputato va dritto al punto e spiega il suo punto di vista. Senza filtri.

Di Battista, quali scomode verità porterà in scena?

«Porto controinformazione. Un monologo per smontare una narrazione bellicista che criminalizza chiunque osi opporsi alle guerre. Lo schema è noto, in diverse parti del nostro mondo, purtroppo».

Come sono cambiati quelli che definisce nel libro i “meccanismi di manipolazione mediatica” nel corso del tempo, secondo lei?

«Ci hanno sempre più abituati alla guerra, usando sistematicamente fake news, cose non dette, notizie manipolate o parziali. Tra tutti, il caso di Israele è quello più sofisticato: ci ripetono che “Israele è una democrazia che ha diritto a difendersi”. Nel frattempo, assistiamo a occupazioni, cementificazioni, abbattimenti di alberi, distruzioni di pozzi d’acqua e case palestinesi. Io lo chiamo terrorismo di Stato. Non dimentichiamo che anche nel blocco occidentale la propaganda è spietata: quando Putin parla di “denazificazione”, fa propaganda. Ma altrettanto fa l’Occidente, che descrive il conflitto in Ucraina come una guerra di liberazione. Il vero obiettivo non è vincere, ma prolungare l’escalation: ogni giorno di guerra arricchisce le transnazionali della sicurezza, le industrie delle armi, chi si occuperà della ricostruzione».

Nel libro parla del ruolo del fondamentalismo nella trasformazione di Israele. Perché?

«Israele si è fondato anche attraverso atti di terrorismo. Oggi usa il terrorismo di Stato per occupare territori. Dobbiamo dirlo chiaramente, senza timore di rappresaglie mediatiche: c’è in atto un tentativo di pulizia etnica».

Che cosa emerge dalle immagini e dai fatti di Gaza che non sempre, a detta sua, vengono raccontati?

«Gaza è un laboratorio di violenze indicibili. Il problema è che chi ci governa non osa dire nulla. Meloni, ad esempio, come madre e donna, non spende una parola sui bambini massacrati. Tajani, invece, sembra l’avvocato di Israele. Viene da rimpiangere figure della Prima Repubblica, come Craxi o Moro, che erano capaci di sfidare l’opinione pubblica e avevano una libertà in politica estera impensabile oggi. Allora, Arafat veniva accolto in Italia, nonostante l’Olp fosse considerata un’organizzazione terroristica. C’erano leader veri, non camerieri come oggi».

In che modo la politica estera della Prima Repubblica si differenziava da quella attuale?

«I politici di allora, pur essendo vicini agli Stati Uniti, erano uomini di Stato, non subalterni. Oggi abbiamo figure che sembrano esecutori di ordini esterni. Questo servilismo ci rende complici di massacri, camerieri».

A proposito di politica, cosa ne pensa dell'evoluzione del M5s maturata domenica con la fine dell' “era Grillo” e l'avvento dell' “era Conte” ?

«Posso solo dire che non mi interessano le vicende interne di un partito che ho lasciato anni fa. Senza mai pentirmene».

Alla fine lo spettacolo offrirà al pubblico un messaggio di speranza?

«Sì, ci sarà uno spiraglio di luce. Perchè io credo. Credo che con un senso maggiore di responsabilità dei cittadini possa esserci un cambiamento reale. Concreto». l