Christian Greco porta il Museo Egizio a Carpi: «Racconto la storia di un’istituzione che produce cultura»
Direttore da 11 anni del museo a Torino, giovedì 27 febbraio sarà all'Auditorium San Rocco per presentare il libro “La memoria è il nostro futuro”, da lui curato per celebrare il bicentenario
CARPI. Ci sono luoghi che non sono semplici musei, ma veri e propri laboratori del tempo, in cui la storia prende forma, il sapere si rinnova e il futuro si intreccia alla memoria. Il Museo Egizio di Torino è uno di questi. Un’istituzione fondata duecento anni fa, che ha attraversato epoche, rivoluzioni e cambiamenti epocali, senza mai smettere di raccontare il fascino della storia. Ma un museo non è solo un contenitore di reperti: è un organismo vivo, che si trasforma, si interroga sul proprio ruolo e sulla sua funzione nella società contemporanea. E proprio per riflettere su questi temi, giovedì 27 febbraio alle 21, presso l’Auditorium San Rocco di Carpi, Christian Greco, direttore del Museo Egizio dal 2014, presenterà “La memoria è il nostro futuro”, il libro da lui curato per il bicentenario dell’istituzione. Un volume che non si limita a ripercorrere la storia del museo, ma la analizza in una prospettiva più ampia, interrogandosi sul significato stesso di un museo nel nostro tempo. Una raccolta di saggi e riflessioni in cui si intrecciano le voci di curatori, docenti e studiosi da tutto il mondo, per esplorare il valore e il significato della memoria culturale.
Greco, la sua storia personale si intreccia con quella della ricerca e dell’archeologia fin dai suoi studi universitari. Ci racconta come ha iniziato il suo percorso?
«Sono andato in Olanda a 21 anni, come studente del terzo anno di lettere classiche all’Università di Pavia. La mia professoressa mi suggerì di trascorrere un periodo all’estero, e grazie a una borsa Erasmus scoprii che esisteva una facoltà di archeologia in Olanda. Era un sogno. Ho studiato metodologia, tecniche di scavo ed egittologia. Mi appassionai subito e nel 1999 mi laureai, cambiando addirittura la mia tesi di laurea per seguire questa nuova direzione. Poi sono rimasto lì come ricercatore».
Qual è stato l’aspetto che più l’ha colpita nell’ambiente accademico olandese?
«La fiducia nei giovani. Lì non esistono rigidità burocratiche come in Italia, gli studenti vengono trattati da ricercatori già nei primi anni, vengono messi subito alla prova sul campo. Non è un caso che l’Olanda sia all’avanguardia in molti settori della ricerca, e sono convinto che senza le opportunità che quel Paese mi ha fornito oggi non sarei qui».
Dopo molti anni all’estero, ha vinto un concorso internazionale per la direzione del museo egizio, ed è tornato in Italia. Com’è stato questo ritorno?
«Me ne ero andato a 21 anni e sono tornato a 38: ho dovuto reimparare a conoscere il mio Paese, un Paese pieno di contraddizioni, ma con eccellenze uniche al mondo. Un mio professore olandese una volta mi disse: “Non capisco perché voi italiani avete i migliori pensatori, e poi non concretizzate le idee. Avrete letto troppo Platone e poco Aristotele”. In effetti in Olanda ho trovato maggiore pragmaticità e senso della cosa pubblica. Tornare in Italia significava rimettersi in gioco, cercare di portare un approccio nuovo, ma sempre con il massimo rispetto per la nostra straordinaria tradizione culturale. E così ho cercato di fare».
Effettivamente, dal 2014 molte cose sono cambiate al museo
«Ho cambiato tutto. Non c’è una vetrina che sia rimasta immutata. Siamo passati da 3.000 a 12.000 metri quadrati di spazi espositivi, con un grande riallestimento nel 2015 e l’apertura di nuove sale. Abbiamo reso il museo un centro di ricerca internazionale, aperto al dialogo e alla multidisciplinarità. L’idea è quella di un museo dinamico, che non si limiti a custodire il passato, ma che aiuti a costruire il futuro della conoscenza».
E allora veniamo al suo libro “La memoria il nostro futuro”, che affronta una serie di riflessioni cruciali sul ruolo del museo oggi
«Abbiamo lavorato a questo volume per quattro anni. Il libro è una riflessione su cosa significhi oggi essere un museo: un luogo di costruzione o di distruzione? Come può un museo essere uno spazio d’incontro, in cui la complessità viene esposta e memorie diverse trovano il loro palcoscenico? Io e altri relatori esploriamo la storia del museo, il suo rapporto con l’Egitto, ma anche le trasformazioni storiche che ci hanno portato fino a oggi. Sono dell’idea che un’istituzione che vive da duecento anni deve interrogarsi sul proprio futuro e su come continuare a crescere».
Per chi ha scritto questo libro?
«Per me, che amo questo luogo di lavoro, per i torinesi, per i ricercatori di ogni parte d’Italia e del mondo. Era giusto lasciare un simbolo scritto nella storia di quest’istituzione”
Quali saranno le sfide future per il Museo Egizio?
«La sfida principale è rimanere rilevanti. Un museo non è solo un contenitore di oggetti, ma un’istituzione politica nel vero senso della parola, ossia “inserita nel contesto cittadino e globale”. Dobbiamo continuare a innovare, a renderci accessibili e a stimolare il dibattito culturale. E io, se potrò, rimarrò qui ancora a lungo, a lavorare per questo museo straordinario»l