Gazzetta di Modena

La mostra

“Riflessi d’Egitto”, un viaggio attraverso 150 preziosi reperti a Palazzo dei Musei

di Elena Corradini

	La mostra "Riflessi d'Egitto" a Palazzo dei Musei
La mostra "Riflessi d'Egitto" a Palazzo dei Musei

La mostra, organizzata dalle Gallerie Estensi e curata da Maria Chiara Montecchi, si può visitare fino al 4 maggio: esposti bronzetti, statuette, amuleti e un sarcofago di epoca tolemaica appartenenti alla raccolta estense. Anche il Museo Egizio di Torino ha collaborato

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MODENA. Fino al 4 maggio è possibile visitare al Palazzo dei Musei la mostra “Riflessi d’Egitto. Fascinazioni e tracce nelle raccolte estensi” che, organizzata dalle Gallerie Estensi e curata da Maria Chiara Montecchi, svela per la prima volta un aspetto fino ad oggi poco noto del collezionismo estense: la passione per l’antico Egitto.

Oltre 150 reperti esposti

Attraverso gli oltre 150 reperti esposti, fra cui bronzetti, statuette, amuleti e un grande sarcofago di epoca tolemaica, si può ripercorrere un lungo viaggio attraverso la civiltà egizia, dal Medio Regno (2010-1755 a.C.) al periodo greco-romano. «La collezione egizia del Museo Estense annesso alla Galleria Estense è significativa - afferma la prof. Alessandra Necci direttrice delle Gallerie Estensi - annovera circa 200 oggetti riferibili a un arco temporale di oltre 2000 anni, anche se la maggior parte appartiene all’epoca tarda, tra il 664 e il 443 a.C. Già la corte estense a Ferrara aveva subito il fascino di una civiltà lontana come quella egiziana e lo testimonia il frammento di statua naofora (portatrice di tempio) in basalto nero risalente al VII-V secolo a.C., che compare già nel 1584 in un “Inventario di statue, vasi e altre cose di guardaroba” del duca Alfonso II d’Este. Non abbiamo dati certi sulla sua provenienza, ma probabilmente il frammento fu asportato a Menfi da una statua che rappresentava un personaggio nell’atto di reggere il tempio con entrambe le mani. All’interno della nicchia del tempio è il dio Osiri, sui bordi corre un’iscrizione dedicatoria in caratteri geroglifici e alla base è raffigurata la figura del committente Mut-nebet-ef che è rappresentato con le braccia alzate e aperte in segno di preghiera. Un nucleo significativo dei reperti della collezione estense - continua la professoressa Necci - proviene dalle ricche collezioni che Tommaso Obizzi aveva allestito nell’Antiquarium della villa del Cataio presso Battaglia Terme che, lasciate in eredità a Ercole III d’Este, passarono al figlio, l’arciduca Francesco IV il quale arricchì la raccolta con altri reperti acquistati nel 1830 dall’antiquario Pietro Gennari».

L’interesse degli Estensi per l’antico Egitto

La corte estense fu sicuramente all’avanguardia per l’interesse per l’egittologia grazie anche all’arciduca Massimiliano, fratello di Francesco IV, cui si devono i contatti con Celestino Cavedoni che fu assunto presso la corte prima come bibliotecario poi anche come archeologo ducale. Cavedoni, infatti, si mise in contatto con il professore di egittologia dell’Università di Pisa, Ippolito Rosellini, poco dopo il ritorno di quest’ultimo dalla spedizione franco-toscana in Egitto da lui diretta nel 1828-29 insieme con Jean-François Champollion, il famoso decifratore dei geroglifici grazie alla scoperta e allo studio della pietra di Rosetta con iscrizione in scrittura geroglifica, demotica e in greco. «Di Rosellini infatti - afferma Maria Chiara Montecchi - fra il 1832 e il 1834 esistono otto lettere conservate nel carteggio Cavedoni della Biblioteca Estense Universitaria in riposta a quesiti che Cavedoni stesso gli aveva posto. In particolare Rosellini lo aiuta a decifrare l’iscrizione di un sarcofago di pietra calcarea bianca, conservato presso il Museo Estense della Galleria Estense ed esposto in mostra. Si tratta del sarcofago proveniente probabilmente da Saqqara e risalente all’inizio dell’epoca tolemaica, II sec. a.C., acquistato dal duca Francesco IV nel 1830 insieme con altri reperti provenienti dall’Egitto. Rosellini non riuscì a decifrare tutta l’iscrizione incisa sul dorso del sarcofago, ma individuò la formula di apertura e quella conclusiva di offerta. Grazie a studi della professoressa Patrizia Piacentini, docente di egittologia all’Università Statale di Milano, oggi sappiamo che le cinque colonne di geroglifici incise sulla parte frontale sono tratte dal Capitolo 72 del Libro dei Morti e riportano anche il nome del defunto, Menis. È uno dei reperti iconici della collezione egizia delle Gallerie Estensi e per questo si è deciso di utilizzarlo come immagine di mostra. Inoltre per approfondire la conoscenza di Rosellini si possono consultare 61 lettere da lui indirizzate a vari corrispondenti in Italia e all’estero conservate nell’Autografoteca Campori della Biblioteca Estense Universitaria». Anche l’arciduca Francesco V, figlio e successore di Francesco IV, fu particolarmente attratto dall’Egitto che riuscì a visitare nel 1864, libero ormai da cinque anni dal governo dello Stato Estense, nel corso di un viaggio di un anno che lo portò in Terrasanta.

Tra le collaborazioni anche il Museo Egizio

«Il viaggio è documentato - continua Maria Chiara Montecchi - nel primo di tre volumi di un diario, conservato presso l’Archivio di Stato di Modena, in cui l’Arciduca non solo raccolse appunti ma anche disegni trascritti da due dei suoi fidati compagni di avventura, il conte Onorio Giacobazzi e il marchese Achille Tacoli». In aggiunta a quella con l’Archivio di Stato di Modena, ad arricchire la mostra non sono mancate altre proficue collaborazioni come quella con il Museo Egizio di Torino, che nel 2024 ha celebrato il suo bicentenario, e con la Fondazione Teatro Comunale. «Il Museo Egizio - conclude Maria Chiara Montecchi - ha concesso un prestito di 16 reperti, fra cui 2 stele, vasetti da cosmesi in alabastro, statuette policrome in ceramica e legno, tutti oggetti che entrarono a far parte della collezione del Museo nel XIX secolo e molto probabilmente appartengono alla raccolta di antichità egizie che Carlo Felice di Savoia (1765-1831) acquistò da Bernardino Drovetti (1776 - 1852) nel 1823, costituendo una delle prime collezioni del Museo, istituito poi nel 1824. Inoltre grazie alla Fondazione Teatro Comunale è stato possibile esporre alcuni bozzetti e costumi dell’opera di Rossini “Mosé in Egitto” andata in scena quest’anno».