Gazzetta di Modena

Vincenzo Mollica racconta Andrea Camilleri: «La sua fu una vita da romanzo»

di Cristiana Minelli

	Vincenzo Mollica in un'intervista ad Andrea Camilleri
Vincenzo Mollica in un'intervista ad Andrea Camilleri

Nel libro «Amo le triglie di scoglio», edito da Rai Libri, il popolare giornalista di Formigine e il collega Bruno Luverà realizzano un ritratto inedito del grande scrittore

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MODENA. Se i gatti hanno nove vite, c’è chi può contare le sue sulla dita di una mano. «Amo le triglie di scoglio. Andrea Camilleri si racconta» di Bruno Luverà e Vincenzo Mollica (pp. 384, € 19,00, Rai Libri), è il racconto delle 5 vite artistiche di Andrea Camilleri, il più popolare e letto scrittore italiano, per 30 anni in Rai, dall’infanzia a Porto Empedocle verso l’infinito e oltre. Un uomo che «Parlava come scriveva, col gusto della messa in scena». Un affabulatore perfetto. Una prateria – culturale, creativa e supremamente umana – ideale, per due autori come Bruno Luverà e Vincenzo Mollica, per decenni in prima linae nel milieu cultuale televisivo, che hanno ricucito il lascito creativo di Camilleri in Rai, a futura memoria dei lettori. Pescando negli archivi, fra regie, sceneggiature, interviste “impossibili” a grandi personaggi del passato, i nastri che lo raccontano. «Per rendere omaggio – dice Mollica su Instagram – a quello che ci ha regalato. Un libro prezioso che raccoglie le interviste che abbiamo fatto in vent’anni per il TG1. Tutti e tre sotto la bandiera del servizio pubblico. Ci racconta la sua passione per Pirandello, Simenon, Eduardo de Filippo, Sciascia, la sua vita, la sua famiglia. La vita ci ha regalato una cosa molto bella: incontrare l’arte di Andrea Camilleri».

Vincenzo Mollica – giornalista, scrittore, disegnatore, personaggio dei fumetti in carne ed ossa, il giornalista Vincenzo Paperica, per oltre quarant’anni al Tg1 – come è nato questo libro e dove si comincia a raccontare un mostro sacro come Andrea Camilleri?

«Ho intervistato Andrea Camilleri per vent’anni, dalla metà degli anni ’90 allo spettacolo di Tiresia, come Bruno Luverà che poi ha avuto l’idea del libro. E ogni volta è stata un’occasione di arricchimento. Non era soltanto un grande scrittore. Anche conversando faceva letteratura. Aveva una capacità, direi ipnotica, di comunicare. La prima volta che lo intervistai mi sembrò di aver incontrato Walt Disney».

La sua professione l’ha portata ovunque nel mondo, dagli Oscar ai più importanti festival internazionali. Lei però è di Formigine, modenese, dunque. C’è qualche aneddoto emiliano che si ricorda?

«Sono nato a Formigine il 27 gennaio ’53. Qualche anno fa ho ricevuto la cittadinanza onoraria che il consiglio comunale del comune mi ha tributato all’unanimità, in piazza, davanti al castello. É stata una giornata di festa che ho vissuto con orgoglio, fra tanta gente. Poi, quando sono andato in pensione, ci fu uno speciale condotto da Mara Venier a Domenica in, con un ospite a sorpresa, Francesco Guccini che, ironicamente, disse: sono qui solo per dimenticare il fatto che sia io che Mollica siamo tutti e due modenesi, aggiungendo: ci mancheranno le tue puntuali cronache sulla musica, sulle canzoni, sui fumetti. Tanti auguri per i giorni che ti aspettano. È stato un po’ come ritrovarsi fra la via Emilia e il West».

Fra i tanti personaggi del mondo della tv e dello spettacolo che ha intervistato e con i quali si è trovato, tante volte, vis-à-vis, c’è senz’altro Pippo Baudo. Come vorrebbe ricordarlo ?

«È stato un grande professionista e una grande persona. Ha inventato la televisione, l’ha fatto con solide basi culturali e senso dello spettacolo, che concepiva in modo personalissimo, capace di abbracciare tutti i generi. Con Mike Bongiorno ha gettato le fondamenta della Rai. Dal ’63 in poi ha posto le basi della televisione moderna, con un’idea precisa, fare del servizio pubblico una bandiera, un’idea nella quale mi sono sempre riconosciuto. Abbiamo fatto insieme 11 Festival di Sanremo, lui sul palcoscenico, come direttore artistico, io come inviato del Tg1. Vederlo lavorare dietro le quinte era strabiliante. Un professionista unico. Un grande lavoratore».

Tornando al libro, per raccontare Camilleri – «drammaturgo, regista, uomo di fiction», curatore di sceneggiati televisivi, sperimentatore radiofonico e scrittore – avete ripercorso ricordi, letto i suoi libri, aperto armadi, ritrovato «polverosi nastri analogici» e anche «un barattolo di pomodori degli anni Settanta…Un’impresa...

«Dopo oltre 30 anni di Rai un po’ di archeologia ci voleva. Ricordo che a proposito di Montalbano lui si disse colpito dall’energia che Luca Zingaretti trasmetteva e Zingaretti dall’arte manifesta di Camilleri. Un’altra volta, dopo l’uscita di uno dei suoi libri, mi disse che la moglie, una volta letto, gli confidò che aveva avuto la netta impressione che scrivendo Montalbano lui stesse ripercorrendo i tratti del carattere di suo padre. Le citazioni gli venivano spontanee. Le interviste erano sempre riflessioni che si sarebbero potute tradurre in aforismi. Aveva un modo di parlare musicale. Non per niente era un grande regista teatrale».

Lui stesso si definiva “contastorie”, «come quelli che vedevo da ragazzino in Sicilia: quando smettevano di cantare, giravano con la coppola per chiedere un compenso. E se il cappello si riempiva, vuol dire che erano stati bravi». Concorda con questa immagine?

«Sì. Tra l’altro se il cappello si riempiva non solo erano stati bravi ma la storia era stata bella da raccontare. Lui era un narratore permanente con tre punti di riferimento letterari: Simenon, Sciascia e Pirandello».

Al suo fianco, in quest’avventura editoriale, Bruno Luverà, giornalista, scrittore e fumettista. Uomo Rai di lungo corso, oggi vicedirettore agli Approfondimenti e autore di saggi e graphic novel. Come è stato lavorare in tandem ?

«Semplice. Siamo stati colleghi per tanti anni al TG1. Lui ha risentito le sue interviste a Camilleri, poi le mie. Ha avuto l’idea del libro, ma soprattutto ha trovato il filo del racconto: le parole di Camilleri sono la vera sostanza di questo libro». Principia scrivendo: «Quando nei tuoi occhi e nei miei entrò un buio che ci rese prigionieri le tue parole mi aiutarono ad alleviare i dispiaceri. Mi dicesti: “Tieni accesa la memoria dei colori come se fossero ceri e i giorni ciechi ti sembreranno meno neri”. «Lui è diventato cieco prima di me. Mi diceva sempre: Vincenzino ricordati di conservare la memoria dei colori. Sognerai contorni che ti sembreranno più vivi e dettagliati di prima. Comincerai a vedere ascoltando, toccando. Un percorso fatto insieme. E ora i giorni sono meno neri».

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