Pier Paolo Pasolini e i giorni sul set a Castelfranco: a Villa Sorra il cinema fece storia
Nel 1975 fu girato il film “Salò e le 120 giornate di Sodoma”, con comparse reclutate al Bar Sport, scene girate tra l’edificio storico e la limonaia. Quelle che all’epoca furono riprese segrete raccontate dai protagonisti di allora
CASTELFRANCO. È l’aprile del 1975. Pier Paolo Pasolini si trova a Villa Sorra perché ha deciso di utilizzare questo antico edificio per alcune scene del suo ultimo film, Salò e le 120 giornate di Sodoma. Le riprese coinvolsero anche comparse reclutate tra i ragazzi di Castelfranco Emilia.
Il set a Villa Sorra
Pasolini girò alcuni interni del film (quasi tutte le sequenze del reclutamento) nel salone della villa e nella limonaia poco distante. Il tutto sotto lo sguardo, anzi l’obiettivo, di Deborah Imogen Beer, allora fotografa ufficiale di scena in un set’blindato’: affinché ci si potesse proteggere - diceva Pasolini - «dall’apparire di un qualche moralista che rifiuta il piacere di essere scandalizzato». Pasolini è sempre alla macchina da presa, dialoga continuamente con gli attori e con il direttore della fotografia, che è Tonino Delli Colli. Maurizio Bandieri, Claudio Ferri, Franco Tedeschi, Claudio Tedeschini, Beppe Boni, Claudio Pigozzi, Franco Monti, Paolo Anselmi sono i nomi di alcuni dei giovani castelfranchesi che si prestarono a fare le comparse a Villa Sorra. «Arrivò una signora della produzione e ci chiese chi era interessato a fare questa esperienza. Eravamo al Bar Sport, sotto i portici della via Emilia, e molti della compagnia accettarono». È Sergio Pigozzi a raccontare l’antefatto. «A molti di noi tagliarono i capelli a zero, ma non a chi li aveva ricci. Ci dettero 15 mila lire di allora, per ognuno dei due giorni di riprese. La costumista ci fece indossare i vestiti dell’epoca. Io venni scelto per fare il soldato tedesco; mi misero addosso un pastrano, l’elmetto e mi diedero un mitra finto: c’era un caldo...». «Si stava lì per ore, una giornata solo per quindici minuti di riprese magari. Pasolini era cordiale e gentile ma non aveva rapporti con le comparse. Nella pausa pranzo - ricorda invece Claudio Ferri, giornalista - c’era una cucina da campo e si mangiava tutti insieme. Le riprese le fecero anche in una stalla di una casa colonica distante circa 200 metri dalla villa».
Curiosità a Castelfranco
Ovviamente a Castelfranco c’era molta curiosità per ciò che avveniva a Villa Sorra. «Noi non sapevamo nulla del film e della trama. Pasolini venne una sera al Teatro Comunale, oggi Dadà, a parlare con il pubblico - prosegue Pigozzi, che è un medico in pensione oltre che grande appassionato di cinema - e ricordo che gli feci anche una domanda in quella occasione. Il film lo vidi poi più tardi. Fui poi tra i pochi della compagnia che seguirono la troupe anche a Bologna, a Villa Aldini, sul Colle dell’Osservanza, dove si spostò il set dopo avere finito le riprese a Villa Sorra. Ricordo che un giorno io ed altre comparse siamo usciti vestiti da Ss per le strade lì attorno e incontrammo due signore con la borsa della spesa. Vidi il terrore nei loro occhi, le rassicurammo dicendo che stavamo girando un film, pensavano che fossero tornati i tedeschi...». Claudio Ferri si rivide, una volta che il film dopo varie vicissitudini poté essere proiettato nelle sale, in un brevissimo frammento di pellicola. «Era però la seconda versione. Infatti poco dopo la conclusione delle riprese le "pizze" vennero rubate a Roma e Salò venne rimontato con immagini scartate da Pasolini in prima battuta. Quei soldi guadagnati a fare la comparsa (15 mila lire del 1975 valgono poco meno di 100 euro di oggi, ndr) mi fecero comodo» conclude Ferri.
Le sagome
Proprio dieci anni fa venne inaugurata nel giardino di Villa Sorra un’installazione con dieci sagome a grandezza naturale che rendevano visibile l’atmosfera del set e che occuparono gli stessi luoghi che furono scena e teatro delle riprese, per permettere a tutti di rivivere ciò che accadde in quei giorni, gli ultimi che videro il regista dietro la macchina da presa. Le sagome riproducevano le foto in bianco e nero scattate sul set dall’inglese Beer, messe a disposizione da Cinemazero di Pordenone, partner di questa originale iniziativa espositiva nata da un’idea di Fausto Ferri. La Pro Loco di Castelfranco Emilia organizzò anch’essa assieme al collezionista Maurizio Baroni nella primavera del 2015 una serie di iniziative, con tanto di mostra dei veicoli militari utilizzati sul set, proiezione del film in versione integrale e ovviamente vietata ai minori di 18 anni, incontri e letture.
Personaggio di “rottura”
«Considero Pasolini un personaggio di rottura, dimostrava con questo film che il potere sovrasta la volontà dei singoli pur dando libertà che si rivelano false. Di quelle giornate di fine aprile - conclude Pigozzi - conservo una foto con le altre comparse, lo stupore nel vedere che Pasolini era davvero dietro alla macchina da presa durante le riprese e non seduto a fianco e l’impressione che mi fece l’arrivo di Caterina Boratto, anch’essa nel cast del film, nell’hotel dove la troupe soggiornava a Bologna. Era una diva del muto e tutti la ossequiavano». Salò o le 120 giornate di Sodoma, soggetto tratto dal romanzo di De Sade ma trasportato nel 1944, scritto e diretto da Pasolini, uno dei più controversi e discussi della sua filmografia, venne proiettato a Parigi il 22 novembre del 1975, dopo la tragica morte del regista dunque, avvenuta appena venti giorni prima. In Italia venne sequestrato praticamente appena uscito e il produttore fu processato e condannato per oscenità. Solo anni dopo ne fu consentita la visione al pubblico, ancorché maggiorenne. «De Sade dice espressamente in una sua frase, non tuttavia celebre come tante altre, che nulla è più profondamente anarchico del potere: e ciò vale per ogni potere. Per quanto io sappia, però, in Europa non si è mai avuto un potere altrettanto anarchico che quello della Repubblica di Salò: esso - disse Pasolini in una intervista uscita postuma sul Corriere della Sera - era la smisuratezza più meschina fatta governo. Ciò che vale per ogni potere in esso era particolarmente perspicuo». Si disse che la notte della sua morte, tra l’uno e il due novembre 1975, il regista fosse andato all’Idroscalo proprio per contattare qualcuno che avrebbe potuto far restituire le "pizze" del film rubate qualche mese prima. Uno dei tanti misteri che circondano ancora oggi questo tremendo delitto di 50 anni fa.
