Gazzetta di Modena

L’esposizione

“Neometafisica” di Giorgio de Chirico, costruttore dell’arte che va nel profondo – Video

di Michele Fuoco

	La mostra di de Chirico a Modena
La mostra di de Chirico a Modena

Al Palazzo dei Musei mostra di 50 opere realizzate negli ultimi 10 anni della sua vita, a cura di Elena Pontiggia: può essere visitata fino al 12 aprile 2026

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MODENA. Una mente vasta e geniale, una cultura viva, moderna capace di rigenerarsi, un temperamento drammatico, irrequieto, ingenuo, grande come scrittore e critico, pictor optimus, costruttore di un’estetica nuova, di un’arte più completa, più profonda, più metafisica. Così viene descritto Giorgio de Chirico (1888-1976) che ha conferito un percorso completamente nuovo all’arte del’900, attraverso varie tappe che vanno dall’apprendistato tedesco e dalla scoperta della Metafisica (1910-1915) fino al periodo Neometafisico. E proprio questa ultima fase creativa prende in considerazione la mostra “Giorgio de Chirico. L’ultima metafisica”, a cura di Elena Pontiggia, che i modenesi, e non solo, possono apprezzare in 50 capolavori in prestito dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, fino al 12 aprile all’interno della nuova ala del Palazzo dei Musei, ingresso da viale Vittorio Veneto 9. La mostra è accompagnata da uno splendido catalogo di Silvana Editoriale, il cui direttore generale Michele Pizzi è felice di questa prima collaborazione con il Comune di Modena, sperando che il rapporto possa continuare per il futuro con nuovi progetti artistici.

L’arte di de Chirico

È l’atmosfera magica ed enigmatica a nutrire la pittura metafisica, fin da quando l’artista lavorava a Parigi negli anni dell’anteguerra mondiale. Facile intuire il valore grande della novità che de Chirico portava nella sua opera con il senso della solitudine, la malinconia che si possono cogliere in una piazza con un’altissima ciminiera, lo spirito statuario che si incarna nella figura umana. Non ha dubbi de Chirico sull’arte “sostenuta” dal pensiero filosofico di Schopenhauer e Nietzsche e dai poeti moderni che – nota l’artista nelle sue Memorie – insegnarono per primi il profondo significato del non-senso della vita e come tale non-senso potesse venire tramutato in arte, anzi dovesse costituire l’ultimo scheletro di un’arte veramente nuova, libera e profonda. De Chirico (Volos, Grecia 1888 - Roma 1978) è perfettamente cosciente di ciò che fa, aspirando al recupero della tradizione pittorica italiana, anche nell’ultimo decennio con un’arte libera e intensa, documentata da questa mostra che si pone come esito del bando comunale per la selezione di un progetto espositivo destinato alle sale al piano terra del complesso museale. È vero che si è sempre voluto privilegiare la prima produzione dell’artista che ha trovato accoglienza nei musei d’arte moderna. La produzione successiva, quella della rivisitazione dei suoi temi precedenti, pur con la diffidenza di alcuni critici, ha trovato la giusta considerazione, solo più tardi. Nelle composizioni dell’ultimo decennio è stata apprezzata la freschezza inventiva per il gioco di motivi che mettono in rapporto i temi della grande stagione metafisica e elementi presi dalle illustrazioni dei Calligrammes di Apollinaire, i manichini. A questi lavori ultimi si attribuisce il carattere di un certo gusto postmoderno. «Queste opere della neometafisica – afferma Elena Pontiggia – sono state realizzate quando de Chirico ha tra gli 80 e 90 anni. L’artista, noto nel mondo e ha influenzato con le sue invenzioni mezza Europa, ha ancora la voglia di dipingere e scoprire nuovi orizzonti. Racconta di aver avuto in questo periodo come delle visioni, delle intuizioni come in un dormiveglia e aveva pensato di ritornare alla pittura metafisica con nuovi motivi. La metafisica nasce dalla constatazione, intuizione che il mondo sia assurdo, senza senso, che la materia sia insensata. Il maestro riprende ciò che Schopenhauer e Nietzsche avevano teorizzato in filosofia e Rimbaud nella poesia. L’artista cerca di staccarsi dalla vita, dipinge degli agnellini vuoti, senza vita, delle gazze che sono immobili dove non c’è un filo d’erba, d’acqua, d’aria. È tutto congelato, immobile. Lo stesso accade nei dipinti successivi. La metafisica è come questo non senso, sotto un cielo apparentemente sereno. De Chirico non pensa quello che pensava negli anni dieci. Guarda la vicenda umana con maggiore leggerezza, indulgenza, pazienza.

La mostra e le opere

Le opere in mostra riprendono l’atmosfera della metafisica, ma in maniera giocosa. E se nel 1910 diceva che bisogna guardare il mondo come ad un immenso museo di giocattoli, quei giocattoli che i bambini rompono per vedere cosa c’è dentro, e dentro sono vuoti, dal 1968 guarda tutti gli oggetti come giocattoli che hanno la funzione di giocattoli, di divertente, lieve, qualcosa che possa allungare la vita». In questo periodo, dopo la stagione barocca, l’artista impiega una pennellata non corposa ma più nitida, un disegno più limpido, deciso, inventa motivi nuovi, da individuare in tante opere: la tristezza della primavera, interno metafisico con testa dei cavallo, archeologi, Ettore e Andromaca davanti a Troia, sole sul valletto, interno metafisico con pere, il segreto della sposa, mobili e rocce in una stanza, cavalli antichi di Apollo, piazza d’Italia con statua a di Cavour, il contemplatore… La curatrice della mostra sostiene «che il passato si costruisce. Non è qualcosa di cui liberarsi, come pensavano le avanguardie, i futuristi. È l’eredità, il possesso di una ricchezza dentro di noi. L’assurdo non manca nella storia che ci circonda, ma bisogna prenderlo con leggerezza, con indulgenza.