Gazzetta di Modena

L’intervista

Alberto Bertoni, grande ambasciatore della cultura letteraria di Modena all’estero

Michele Fuoco
Alberto Bertoni, grande ambasciatore della cultura letteraria di Modena all’estero

Da decenni il docente tiene lezioni e seminari in famose università

25 gennaio 2024
4 MINUTI DI LETTURA





Modena La cultura letteraria trova nel modenese Alberto Bertoni un grande interprete e divulgatore anche fuori dalle mura dell’Università di Bologna, dove insegna letteratura italiana contemporanea.

Bertoni è tra gli artefici della manifestazione “Poesia Festival”, con Roberto Alperoli, Roberto Galaverni e Andrea Candeli.

«Divulgatore si diventa – dice il docente modenese – attraverso il proprio mestiere. Quando mi trovo tutte le mattine davanti ad una classe, come quella attuale di 150 ragazzi, avverto come compito profondo di provare a trasmettere non solo conoscenze letterarie ma anche tecniche di lettura. Il problema è di convincere i ragazzi a leggere. Si guarda, si ascolta ma si legge sempre meno. L’impegno quotidiano per me è imparare che non si può entrare in un’aula sapendo di dire già quello che voglio io. Fondamentale è sentire il polso della classe, il livello di concentrazione e capire cosa può interessare davvero. Così si possono ottenere dei risultati».

È l’attività di critico o di poeta a primeggiare nelle richieste?

«Il sistema universitario non ama che uno sia uno scrittore in proprio. Quando Umberto Eco ha pubblicato “Il nome della rosa” l’Università lo ha abbastanza emarginato. Io ho tenuto separate le due attività. All’Università non sapevano che scrivevo poesie. Per molto tempo è stato un doppio ruolo conflittuale. In marzo partecipo ad un seminario, nel mio dipartimento a Bologna, in cui un collega fa una lezione su di me come poeta. Quando mi presento in una comunità che vuole sentire da me una lezione di letteratura, vado come critico e non come poeta».

Quali gli argomenti più richiesti?

«C’è un proliferare di scuole di scrittura, di lettura, sulla scia della scuola Holden di Baricco a Torino, poi le Università della Terza Età a Modena, Reggio e Bologna dove mi chiedono spesso di intervenire. L’argomento più diffuso, perché le lettrici sono donne, è la scrittura al femminile, sia in narrativa che in poesia. Quindi conferenze e lezioni su scrittrici, come Elsa Morante, ora con una fiction televisiva tratta da un suo romanzo, Cristina Campo, Anna Maria Ortese. Anche in campo poetico si è imposta al primo posto una donna, Vivian Lamarque, alla prima edizione del Premio Strega Poesia».

E all’estero?

«All’estero mi chiedono scrittori che siano facilmente leggibili (così mi hanno invitato a tenere anche, poco tempo fa, una lezione all’Università di Gand, in Belgio, su Francesco Paolo Piccolo che scrive un italiano semplice a cui i ragazzi erano interessati), perché non c’è più sul versante anglo-americano un forte interesse per l’insegnamento dell’italiano, anche per mancanza di fondi, Ora tendono a fondere gli istituti di lingue romanze: francese, spagnolo e italiano. E l’italiano non ha più la diffusione di una volta. All’estero mi vengono richieste lezioni su Italo Calvino: negli Stati Uniti ma anche spesso in Polonia, all’Università di Varsavia. Mi conoscono pure come poeta e a Oxford ho fatto alcune lezioni su Montale e un seminario su Giovanni Giudici. Su Montale conferenza anche a Berlino nella Casa della Poesia, frequentata da molti giovan».

C’è più attenzione in Italia o all’estero?

«Nei paesi stranieri c’è una cultura letteraria presa molto seriamente. Tanta attenzione pure in Irlanda. A Varsaria ho parlato davanti a più di 70 studenti. Numerose le domande. Sono stato molto bene accolto, negli anni’90, all’Università di Brown (Stati Uniti) , dove gli studenti hanno piani di studi completamente aperti. A Oxford c’è un’organizzazione universitaria meravigliosa. Un altro pianeta».

Quale la differenza nel proporre un argomento al pubblico o agli studenti universitari?

«Negli anni 90 il professore universitario teneva una lezione di 45 minuti, con dettagli raffinati di filologia, di varianti del testo, di interpretazioni capillari, perché al liceo si faceva storia della letteratura. Questo sistema è andato in frantumi. Dal liceo sono arrivati studenti che non conoscevano nemmeno il canone di riferimento, e si dovevano fare i fondamentali. Ora sono esperto a fiutare l’ambiente. Il segreto è sapere che non c’è più una cultura diffusa».

Incontri pure alla Rai…

«Anche a dicembre sono andato a registrare mezz’ora come poeta al TG Campania di Napoli che sta facendo un bellissimo archivio della poesia contemporanea. Mi hanno invitato spesso al TG dell’Emilia Romagna,per interviste su eventi culturali. Rai Radio 3 ha concentrato sulla trasmissione pomeridiana Fahrenheit lo spazio della poesia proposta in modo abbastanza noioso. La poesia non deve annoiare, è energia trasmessa al linguaggio. La Radio potrebbe fare di più. La cultura letteraria italiana è di livello molto alto e non fa investimenti di nessun tipo. Basta pensare a Modena».

Essendo modenese, mira anche a diffondere la cultura della propria città?

«Modena non è una città facile in cui fare letteratura e, quindi, dal punto di vista culturale, mi sento più bolognese che modenese. Ma Modena ha avuto nel’900 uno dei più importanti scrittori in assoluto, Antonio Delfini, che deve essere studiato e capito fino in fondo. Mi sono dedicato molto a proporlo e a farlo leggere. Un grandissimo, non so fino a che punto riconosciuto dalle istituzioni modenesi. Un altro caso è quello dell’artista futurista Enrico Prampolini…».

© RIPRODUZIONE RISERVATA