Gazzetta di Modena

L’intervista

Modena, Scanzi: «Due o tre cose da sapere di questa Destra che ci governa»

di Ernesto Bossù
Modena, Scanzi: «Due o tre cose da sapere di questa Destra che ci governa»

Giovedì al Michelangelo il giornalista con «La Sciagura»

28 maggio 2024
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Il tour è, a ben pensarci, da rockstar: Andrea Scanzi ha condensato, in poco più di 30 giorni, da fine aprile a inizio maggio, ben 21 date tra i teatri di tutta Italia. Da Lecce a Milano, passando per Roma e, ovviamente, Modena. “La Sciagura - Cronaca di un Governo di scappati di casa”, traslitterazione teatrale del (quasi) omonimo libro – l’ultimo di Scanzi – pubblicato alla fine dello scorso anno ed edito da Paper First, farà tappa all’ombra della Ghirlandina giovedì sera. Il luogo scelto è il Teatro Michelangelo, già tutto esaurito da metà mese, per una sorta di One Man Show di Proiettiana – il riferimento è al compianto “Mandrake” Gigi Proietti – memoria. Il paragone non è eccessivo: Scanzi sa unire all’ironia tagliente e a tratti surreale uno sfondo policromatico quasi favolesco, cioè quello che fa dire cose del tipo «caspita, ma è davvero così?». Policromatico perché, in fondo, ognuno di noi ascoltando (o leggendo) ciò che Scanzi dice (o scrive) rimane colpito più per qualcosa o più per qualcos'altro; ma alla fine de «La Sciagura», spettacolo e/o libro che sia, il quadro complessivo riesce a suggerire ancora di più rispetto a quanto non faccia ogni singola scena o capitolo.

Scanzi, cento minuti tra lei e il pubblico, senza nulla in mezzo.

Qual è l’ambizione de “La Sciagura”?

«Di essere una satira politica che riesca a raccontare, tra risate, video e foto, chi è Giorgia Meloni, la sua storia, i personaggi che stima, la classe dirigente da cui è circondata e, da ultimo, che permetta anche al pubblico di porsi una domanda: e ora cosa facciamo?».

Andiamo con ordine. Nel libro lei parla del teorema Bannon, che prende il nome dal suo “inventore”, l’ex stratega di Donald Trump, e secondo cui «basta dare un volto presentabile al populismo di destra e si è eletti».

È così?

«Assolutamente sì, e Meloni ne è la piena dimostrazione».

Crede che governerà anche oltre il 2027?

«Non sono un indovino, ma posso dire che penso che sicuramente porterà a scadenza naturale questa legislatura. Dopodiché molto dipenderà dall’alternativa: se l’opposizione saprà costruire un campo politico credibile, (ri)portando al voto gli astenuti di area di centrosinistra, potrà esserci un cambiamento. Altrimenti la vedo difficile».

Rimaniamo negli Stati Uniti. Definisce Meloni «scendiletto di Biden». Paradossale se si pensa che il suo nome è particolarmente apprezzato anche nell’area più estrema del Partito Repubblicano, vedi Bannon…

«È successo che Meloni, una volta vinte le elezioni, ha terrorizzato tanto gli americano quanto l’Unione Europea e la Nato. Ha di fatto delegato a Tajani, europeista, la politica estera, e a Giorgetti, già titolare del dicastero di via Veneto – quello dello Sviluppo – sotto il governo Draghi, la politica economica. Dopodiché lei è brava a fare credere, ai suoi elettori, di non averli traditi».

Un paradosso che reggerà ancora per molto?

«Finché non ci sarà un’opposizione forte e credibile, per tornare al discorso di prima, sì».

Cita, nel libro, anche Carlo Fidanza, europarlamentare meloniano ricandidato nel collegio del Nord Ovest e vicino, stando a quanto raccontato da Fanpage, al mondo dell’estrema destra italiana. È un governo fascista quello di oggi?

«Ci sono due tesi: secondo quella di Montanari, Saviano e Scurati in parte sì, mentre per Travaglio sono nient’altro che una caricatura di Berlusconi. Io sto un po’ nel mezzo, pur propendendo per la prima visione. Fidanza, ad esempio, garantisce quel 4% di voti di persone appartenenti anche all’estrema destra post-fascista che servono a Fratelli d’Italia per avvicinarsi al 30%».

Quindi Salvini sta sbagliando strategia nel momento in cui punta a sorpassare Meloni a destra?

«Salvini è politicamente postumo in vita. Non esiste più come leader, nella Lega si tengono lui perché non hanno alternative». A Meloni piacciono Gaber, Battiato, De Andrè, Gaetano, e ne “La Sciagura" viene ben raccontato, con un po’ di ironia. Effettivamente pare strano… «Le canzoni dei grandi cantautori non sono solo colonne sonore, ma anche e soprattutto messaggi precisi. Meloni ha detto di ascoltare anche De Angelis, che ha scritto anche canzoni fasciste e antisemite. Lui non c’entra nulla con De Andrè che, ad esempio, parlava di quelle minoranze che sono obiettivo dell’attuale maggioranza, come transessuali, omosessuali e migranti».

È d’accordo se le dico che questo è forse il suo libro più “sociologico”?

«Me l’hanno detto anche altri, e sicuramente non è un\a cosa voluta. È una conseguenza positiva di una certa dinamica di disillusione politica che io, come tanti, ho vissuto negli ultimi anni». E la soluzione, tanto a questa disillusione quanto alla «Sciagura» politica di oggi? «Sarà la conclusione dello spettacolo, e lo si legge tra le righe del libro. Non spoileriamolo, ma do un indizio: la società civile».