Fuoriclasse Ferrara

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Fuoriclasse

«Sono una mamma di 15 ragazze». Così Carmen Andoni descrive quel lavoro a tempo pieno che da venti anni fa parte della sua vita. Carmen è responsabile della comunità educativa “La Coccinella”, la struttura residenziale femminile che si trova sul territorio modenese dal 1997 e che ospita minori in condizioni di disagio, in particolare ragazze che hanno subito maltrattamenti o violenze. La comunità inizialmente nasce per aiutare ragazze vittime di tratta, ma nel corso degli anni si è aperta alle richieste del territorio nell’ambito dell’aiuto adolescenziale. Come fate a creare un rapporto di fiducia con le ragazze? «È la cosa più difficile, ma rimane il nostro principale obiettivo e una priorità per noi educatrici. Dovete immaginarvi una grande famiglia, le ragazze vivono in un appartamento dove si alternano dodici operatrici donne, che fungono da mamme, dice Carmen. Nonostante ciò, la comunità resta un ambiente difficile, nel quale vigono delle regole difficili, le nostre ragazze infatti non possono vivere le esperienze proprie della vita adolescenziale, come andare in discoteca. Per questo noi le riteniamo fortissime in ciò che fanno, cerchiamo il più possibile di trasmettere loro i valori della fatica e della costanza, che sono fondamentali per guadagnarsi ciò che desiderano». Che ruolo ha lo sport nella vostra comunità? «Nell’arco degli anni abbiamo capito che la parte bella della vita comunitaria non è solo dire loro cosa devono fare, ma farlo insieme a loro, creando così un rapporto di complicità. Come attività sportiva comune quest’anno abbiamo proposto lo yoga, ma organizziamo anche dei tornei di calcetto e di pallavolo. Lo sport ci permette di dire tante cose, di capirci anche solo con uno sguardo: è proprio in questo modo che ci si rende conto di quanto in realtà sia semplice gestire situazioni difficili. Grazie allo sport infatti riusciamo anche ad aiutare una ragazza, poiché capiamo a fondo il motivo delle sue azioni». Ci sono ragazze che hanno espresso volontariamente di vivere in comunità? «È molto raro, ma spesso accade, forse questo si deve anche alla recente notorietà del mondo comunitario, i ragazzi e le ragazze sanno quindi che c’è un ambiente pronto ad accoglierli. Chi arriva volontariamente nella struttura lo fa a seguito di una denuncia in questura, ma tendenzialmente le ragazze vengono allontanate dal territorio perché sono ritenute dei “pericoli per la società”. Mi piace pensare che il nostro lavoro oggi sia più bello grazie al fatto che le ragazze desiderino stare qui. La nostra sfida è cercare di farle rimanere il più possibile, in modo che sfruttino la permanenza in comunità per stare meglio in futuro con loro stesse. Qui possono trovare gli strumenti che servono loro per avere la possibilità di essere vincenti e di non subire come in passato nella loro vita». Oltre allo sport, quali altri valori insegnate in comunità? «Ci piace spiegare alle ragazze la necessità di guadagnare, per esempio attraverso una semplice vendita di torte, a cui le ragazze sono entusiaste di partecipare. Alcune in estate fanno qualche lavoretto. Insomma cerchiamo di far mancare il meno possibile a queste ragazze, perché siamo ben consapevoli che hanno già perso tanto». Lo Stato vi aiuta in qualche modo? «Il Comune e il Ceis ci danno dei fondi, dei sostegni che ci permettono di sostenere le maggiori spese, anche se cerchiamo di autofinanziarci. Tuttavia credo che in Italia si investa abbastanza poco, o perlomeno nel modo sbagliato: le risorse ci sono ma vengono gestite in maniera poco efficace e questo mi fa rabbia, ma mi fa anche trattenere dove sono, perché il mio lavoro è tanto gratificante, quanto pesante. Mi sembra infatti di avere ancora delle cose da dare, sento di avere ancora molta responsabilità nei confronti delle ragazze e della struttura». La struttura ospita anche dei volontari? «Sì, noi nasciamo grazie a dei volontari, poi siamo entrati nel Ceis. Abbiamo dei professori volontari che aiutano le ragazze nello studio, dei tirocinanti che vogliono diventare educatori o psicologi. I volontari possono fare di tutto, da accompagnare le ragazze a fare un giro in centro, al fare due chiacchiere la sera». Come gestite le richieste delle ragazze e le regole della struttura? «Il sabato sera organizziamo una pizzata in casa, ma dopo non si può uscire, cerchiamo di far capire loro la responsabilità di una scelta come questa. Ci rendiamo conto che a volte le regole siano un po’ dure, ma vengono decise in base al comportamento delle ragazze. Infatti abbiamo anche concesso loro il Wi-Fi e l’uso del telefono dopo cena a seguito della loro buona condotta. Ogni cosa che gli viene concessa è perché è meritata». l Vittoria Cavani Ludovica Bossi Antonella Orabona Marta Abbati Sophia Calandrino Francesca Ferrara

«Sono una mamma di 15 ragazze». Così Carmen Andoni descrive quel lavoro a tempo pieno che da venti anni fa parte della sua vita. Carmen è responsabile della comunità educativa “La Coccinella”, la struttura residenziale femminile che si trova sul territorio modenese dal 1997 e che ospita minori in condizioni di disagio, in particolare ragazze che hanno subito maltrattamenti o violenze....

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La responsabile della comunità apre le porte «I rapporti di fiducia sono la nostra priorità»

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Modena La Coccinella per aiutare giovani donne

La responsabile della comunità apre le porte «I rapporti di fiducia sono la nostra priorità»

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