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La crisi

A Mirandola continua la lotta per il lavoro: «Il cuore della Bellco siamo noi»

di Davide Berti
A Mirandola continua la lotta per il lavoro: «Il cuore della Bellco siamo noi»

Con il primo caldo i dipendenti non lasciano i cancelli della Mozarc: «Un sogno spezzato, ma restiamo qui giorno e notte: questa azienda è nostra»

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MIRANDOLA. Più di 34 gradi all’ombra, i gazebo sembrano squagliarsi sotto il sole che rimbalza sull’asfalto davanti ai cancelli di Mozarc a Mirandola.
Azienda che i lavoratori chiamano ancora Bellco, crasi di “Bella Compagnia”, dall’idea del fondatore Mario Veronesi che qui nella bassa tirò fuori dal cilindro nel 1973 l’intuizione che ha dato la stura ad un miracolo economico, quello del biomedicale che si è fatto distretto europeo e in questo fazzoletto di terra compete con il mondo.
Non è un caso che uno dei momenti più emozionanti di questi primi cinque giorni di sciopero sia stata proprio la visita della figlia di Mario, arrivata a portare la sua solidarietà. Più di 34 gradi all’ombra ma le lavoratrici e i lavoratori non mollano nemmeno la domenica, restando giorno e notte come vedette in questo castello sul quale sventolano le bandiere Cgil e Cisl e nel quale arriva, incessante, la solidarietà dei mirandolesi e delle istituzioni.

La settimana più dura
Per chi lavora in Bellco è stata la settimana più dura e quella, paradossalmente, più viva. Alle 12.30 di mercoledì 12 giugno hanno saputo che la multinazionale americana che possiede il marchio voleva spazzare via 350 posti di lavoro, tutti quelli impegnati nella produzione dei filtri impiegati per la dialisi.
Una scelta “indegna” come l’ha definita l’ex sindaco di Modena e ora vicepresidente della Provincia, Gian Carlo Muzzarelli. “Inaccettabile” secondo il governatore Stefano Bonaccini, che promette di voler “guardare negli occhi l’azienda” al tavolo regionale che è stato convocato il 26 giugno a Bologna, atto primo del braccio di ferro coi manager di Mozarc che proseguirà a Roma il prossimo 9 luglio, davanti allo stato maggiore del ministero delle imprese e del Made in Italy guidato da Adolfo Urso.

Il clima nei gazebo
Il clima che si respira dopo cinque giorni di sciopero lo descrive bene Silvia, una delle lavoratrici che in Bellco ha messo il cuore. «Sono in questa azienda da nove anni, nel 2023 mi hanno fatto passare di ruolo nel controllo qualità. Mi hanno fatto credere di avere un futuro, di poter crescere professionalmente ancora di più. Questo sogno si è spezzato il 12 giugno, quando ci hanno detto che tutto questo finirà. Da quel momento non abbiamo più lasciato la fabbrica, siamo e saremo qui giorno e notte per far vedere che questa azienda è nostra. Siamo noi la Bellco, siamo noi il suo cuore».
Mirandola e tutti i comuni del distretto si sentono il cuore della Bellco. Lo hanno dimostrato le duemila persone in corteo sabato scorso, protagoniste di un evento che «non abbiamo mai visto con questa passione e con questi numeri da trent’anni a questa parte», dice un decano del sindacato mirandolese.

La visita della prefetta
Oggi alle 11.30 arriverà la prefetta di Modena, Alessandra Camporota, insieme al presidente della Provincia, Fabio Braglia. Lisa Vincenzi (Filctem Cgil) e Alberto Suffritti (Femca Cisl) sono i due sindacalisti divenuti speaker della lotta in corso davanti e dietro ai cancelli aziendali. Informano le lavoratrici e i lavoratori di ogni novità, sono loro che stanno preparando la grande assemblea che si terrà stamane e che preparerà l’agenda della settimana, perché sono attesi altri grandi ospiti Istituzionali e figure di primo piano della politica.
«Diciamo grazie alla prefetta per la scelta coraggiosa che ha fatto. Con la sua presenza qui sta dicendo che lo Stato è dalla parte di chi difende non solo il diritto al lavoro e alla dignità, ma il diritto al futuro di un intero distretto. Alla prefetta spiegheremo che in questa fabbrica si gioca molto di più di una vertenza sindacale – spiegano Vincenzi e Suffritti –. Il personale Bellco lotta per tagliare le unghie ad un modo predatorio di fare impresa e, soprattutto, difende la capacità di approvvigionamento del sistema sanitario pubblico. Perché? Perché il distretto realizza prodotti che salvano la vita delle persone, è essenziale che lo Stato capisca di non lasciare in mano questo tesoro alle ragioni selvagge del profitto a tutti i costi».