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L'intervista

Alto, a Fiorano c’è una nuova stella nel cielo della cucina modenese

di Ginevramaria Bianchi

	Lo chef Mattia Trabetti nel ristorante Alto a Fiorano
Lo chef Mattia Trabetti nel ristorante Alto a Fiorano

Lo chef veronese Mattia Trabetti ha conquistato la Guida Michelin: il suo menù “Modena Safari” è un omaggio alle materie prime locali. Prima di trasferirsi in Emilia ha attraversato le cucine di tutta Europa: nel Regno Unito, dove ha lavorato con Heinz Beck, fino al F12 di Stoccolma e allo Zilte di Anversa

18 novembre 2024
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FIORANO. È trascorsa solo una settimana da quando Mattia Trabetti è salito sul palco del Teatro Comunale di Modena per ricevere la sua prima stella Michelin. La sala era gremita di volti tesi e sguardi in attesa, immersi nel silenzio che precede ogni grande momento di riconoscimento.

Quando il suo nome è stato annunciato, un applauso liberatorio ha riempito l’ambiente, inondando di emozione lo chef veronese e l’intera squadra del ristorante Alto di Fiorano. Con passo deciso, Trabetti ha attraversato il palco, accolto da una comunità che lo ha visto portare a Modena un tipo di cucina tanto inaspettato quanto innovativo: un percorso culinario costruito nel rispetto più totale per il territorio emiliano.
Un’idea di cucina complessa e raffinata, frutto di un viaggio iniziato nelle colline venete e passato attraverso le cucine di tutta Europa, dal Piemonte al Regno Unito, dove Trabetti ha lavorato con il grande Heinz Beck, fino al famoso F12 di Stoccolma e al ristorante Zilte di Anversa. Nel 2021, Trabetti ha scelto di stabilirsi in Emilia, terra di sapori forti e carne generosa, dove ha intrapreso una sfida ardita: mettere al centro del suo menù i prodotti della terra, in un viaggio continuo tra produttori locali, coltivazioni sostenibili e piatti concepiti senza spreco.
Non c’è spazio per compromessi: ogni ingrediente viene rispettato fino all’ultimo grammo, ogni piatto racconta una storia che passa dalla ricerca sulle antiche ricette emiliane a una visione circolare della cucina. Oggi, con la stella Michelin appena conquistata, lo chef trentacinquenne Mattia Trabetti si racconta, esplorando i propri sogni, le sfide e l’ambizione di proseguire un percorso tutto in evoluzione.

Trabetti, partiamo da quel giorno emozionante. Ci può raccontare come ha vissuto quel momento?

«È stato davvero intenso, come se tutti i momenti difficili e ogni sacrificio si fossero improvvisamente sciolti in un’unica emozione. La stella Michelin è qualcosa che molti chef sognano per anni, ma quando finalmente è arrivata mi ha colto quasi di sorpresa. Credo che ogni professionista pensi a quel momento come a un traguardo importante, e lo è, ma ciò che si prova nel riceverla è un misto di incredulità e gratitudine».

Immagino che sorpresa, anche perché siete il primo e unico ristorante stellato di Fiorano.

«Siamo i primi, direi, di tutto il distretto. Siamo sulla vetta dei ristoranti di Sassuolo, Fiorano, Formigine e Maranello, e questo non può che rivestirci di un grande orgoglio e di una grande responsabilità».

Se lo aspettava o è stata una vera sorpresa?

«Qualche giorno prima della premiazione ci è arrivato un invito via e-mail, ma non avevamo la certezza di vincere: sapevo che stavamo facendo qualcosa di nuovo e di coraggioso qui in Emilia ma, si sa, in cucina nulla è mai garantito. Il nostro approccio è diverso, lavoriamo con la stagionalità e senza compromessi, cercando di valorizzare ogni prodotto con creatività e rispetto. E questo, alla fine, ci ha premiati».

Il ricordo più caro che ha di quella giornata?

«L’atmosfera che si è creata quando sono sceso dal palco difficilmente la dimenticherò. In un attimo ho visto tutti gli sforzi di una vita ripagati, i colleghi mi facevano gli auguri, il mio team era commosso. Per tutti noi è stato il traguardo di una vita, perché ogni componente della mia squadra è fatto di autodidatti, ex operai, creativi: gente semplice e appassionata, proprio come me. Forse la stella ci ha ripagati anche per questo».

Quando ha capito che la cucina sarebbe stata il suo mondo?

«Da piccolo trascorrevo tanto tempo a osservare mia zia cucinare. Mi affascinava il modo in cui una semplice pasta lievitata si trasformava in focaccia. I lievitati per me erano una magia, e sono partito proprio da lì, perché la cucina per me è sempre stata una specie di laboratorio. Crescendo, quella curiosità è diventata passione. Ho iniziato a comprendere la precisione e la dedizione necessarie per trasformare ogni piatto in un’esperienza. Il percorso non è stato facile, ma ogni tappa mi ha insegnato qualcosa di fondamentale per quello che faccio oggi».

Che tipo di percorso ha fatto prima di arrivare ad Alto?

«Io sono di origine veneta, e lì ho fatto l'alberghiero. Dopo le superiori ho lavorato in tanti luoghi, anche all’estero: ogni Paese in cui ho soggiornato mi ha lasciato qualcosa di unico. Prima l’Inghilterra, con Heinz Beck, e poi la Svezia. Tornato in Italia, mi sono sistemato in Emilia, e ho sentito il bisogno di riportare queste esperienze in una cucina radicata nel territorio, ma con una visione più ampia. Ogni piatto, per me, deve essere un viaggio».

Veniamo a “Modena Safari”, il menù che è diventato stellato e che più di tutti racconta Alto e il suo legame con il territorio. Come è nato?

«Modena Safari è un progetto ambizioso, una sorta di viaggio che racconta la nostra provincia forchettata dopo forchettata. La sua creazione ha richiesto tempo e amore. Siamo partiti dai produttori locali, studiando a fondo le loro tecniche, i loro prodotti. Da lì, abbiamo selezionato materie prime della nostra terra e abbiamo dato vita a un menù che unisce i sapori della tradizione con tecniche innovative. Ogni piatto vuole essere un omaggio alla storia modenese, e lo facciamo scegliendo solo prodotti a chilometro zero».

Dietro a questo patriottismo culinario c’è anche un tocco di sostenibilità?

«Certo. Noi collaboriamo solo con produttori della provincia di Modena, per quel che riguarda “Modena Safari”. Andiamo sul posto, studiamo gli ingredienti, le tecniche con cui cucinarli, e poi li serviamo a tavola. Lo stesso facciamo con il nostro menù green, chiamato “Emilia vegetale”, dove utilizziamo solo prodotti vegetali provenienti dall’Emilia, perché l’esperienza culinaria di Alto si basa tutta sui nostri sapori. Non appena si arriva nel nostro ristorante, chiediamo di selezionare uno dei nostri menù, e sopra di essi si può vedere proprio la mappa dei prodotti e l’area geografica da cui li abbiamo presi. Il nostro obiettivo è rispettare ogni ingrediente, usare tutto, in un circolo a chilometro zero che non lascia sprechi».

Con la stella Michelin appena conquistata, cosa riserva il futuro per Alto?

«Come dicevo, la stella è una motivazione, ma anche una responsabilità. Il nostro obiettivo è continuare a migliorare, a crescere, e a fare sempre più ricerca sul territorio. Ora dobbiamo solo tenere la testa bassa e lavorare. La strada è ancora lunga, e ci sono tante idee da sviluppare. Il nostro team è fatto da persone umane, che vivono la tavola come convivialità e piacere. Essendo appassionati noi in primis, non possiamo fare altro che sperare di continuare ad appassionare anche i palati dei nostri ospiti», conclude lo chef Trabetti.

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