Ausl, de Pascale smonta la fusione tra Modena e Reggio: «Sarà solo rafforzata la collaborazione»
Il presidente della Regione Emilia Romagna: «I punti nascita? Non riapriranno»
MODENA. «Rafforzare la collaborazione fra Reggio e Modena sì, ma la fusione tra le due Ausl è un tema che non abbiamo mai affrontato. In questo mandato, secondo il programma le uniche che abbiamo intenzione di fondere sono rispettivamente le due aziende di Parma e le due di Ferrara». Così il presidente della Regione Emilia Romagna, Michele de Pascale, interviene sulle voci che si rincorrono da qualche giorno sull’ipotesi di una fusione fra le Ausl di Modena e Reggio Emilia. «A Bologna – chiarisce de Pascale – dove c’era già qualche riflessione, io mi sono fermato e da subito ho detto: “Non partiamo dalle scatole, ovvero dalle aziende, ma partiamo dai servizi, da un lavoro di squadre, dalle reti cliniche, dall’integrazione”. Non faremo fusioni né per la Città metropolitana di Bologna né fra Modena e Reggio».
Presidente, quindi la fusione della quale si parla lungo la via Emilia fra Reggio e Modena non è in agenda?
«Nessuna fusione. Il tema è quello di un rafforzamento della collaborazione fra le aziende sanitarie di Modena e Reggio Emilia: è un tema importante e positivo. Si sono già fatte cose molte importanti insieme, come ho avuto di constatare ad esempio sull’oncoematologia, dando conto anche del lavoro di Unimore».
In Romagna però lei è stato fra i promotori dell’azienda sanitaria unica.
«Il caso della Romagna era molto diverso, perché in Romagna non c’erano aziende universitarie-ospedaliere ma tutte aziende territoriali. Non può essere considerato uno schema replicabile. Per il momento noi procederemo le prossime settimane al rinnovo di tutti le direzioni generali, ovviamente dialogando con i sindaci e dove necessario con rettori».
Per quanto riguarda le altre due fusioni in agenda invece, fra le quali Ferrara, a che punto siamo?
«Noi siamo pronti, manca la legge di norma nazionale, cioè la legge attualmente vieta di unire azienda territoriale e ospedaliera, a differenza dell’unione di due aziende territoriali. Nelle prossime settimane scriveremo ai ministri Anna Maria Bernini (dell’Università e della Ricerca, ndr) e Orazio Schillaci (della Salute, ndr) per chiedere un incontro perché a Ferrara siamo arrivati a un punto che è andato anche oltre alla condivisione. Negli ultimi cinque anni la legge nazionale non s’è fatta, ovviamente non posso imporlo al governo, bisogna valutare se governo e parlamento sono convinti della direzione intrapresa. Ma il lavoro fatto a Ferrara sulle due aziende ha portato a un risparmio ad esempio sulle spese generali, il lavoro di integrazione dei servizi è stato importante, ma è chiaro che oggi sono due aziende separate quasi difficili da gestire perché hanno molte parti in comune».
C’è però un tema di sostenibilità della rete ospedaliera? Mi riferisco soprattutto al futuro degli ospedali periferici. Ci sono zone – come ad esempio Sassuolo e Scandiano – dove gli ospedali sono molto vicini. E c’è chi teme che questo influisca in termini di posti letto o terapie intensive.
«Uno dei punti del programma è anche la riorganizzazione della rete ospedaliera. Ma mi permetto di dire che è chiaro che non si parte dalla coda, ma dalla testa, nel senso il rinnovo delle direzioni generali e il dialogo con i territori devono andare verso una riorganizzazione della rete ospedaliera che potenzia le attività sul territorio, secondo principi di appropriatezza. Non si può accentrare tutto. C’è una rete di ospedali distrettuali importanti e il lavoro che dobbiamo fare è erogare negli hub provinciali servizi di alta complessità, con una rete di ospedali minori dimensioni che devono erogare servizi molto rilevanti ma di complessità minore. Ma fondamentale è l’ascolto del territorio».
E i punti nascita? Saranno riaperti? È uno dei temi rimasti in sospeso.
«Su questo sono stato chiaro già in campagna elettorale. Non c’erano condizioni per riaprire i punti nascita, lo confermo anche ora. Per me non è serio fare promesse che non si sa di poter mantenere e c’è teme di sicurezza, non si mettono in pericolo né bambini né donne. Io ho detto che non avrei riaperto. Invece bisogna lavorare su percorsi di potenziamento ostetrico nei consultori, con percorsi nascite che partano nei centri più piccoli e soluzione per la sicurezza di donne e bambini. Non credo che questo si ottenga con la moltiplicazione di punti nascite».
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