Gazzetta di Modena

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Femminicidio

«Ha ucciso mia figlia Giulia: lui è già libero con un premio, a noi lo Stato chiede soldi»

di Serena Arbizzi

	Giulia Galiotto, uccicsa nel febbraio 2009 dal marito Marco Manzini
Giulia Galiotto, uccicsa nel febbraio 2009 dal marito Marco Manzini

L’incredulità di Giovanna Ferrari, mamma di Giulia Galiotto, la donna uccisa nel febbraio 2009 dal marito Marco Manzini a San Michele di Sassuolo. «Ci hanno presentato una cartella esattoriale da 6mila euro per un risarcimento mai visto»

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SASSUOLO. «L’Agenzia delle Entrate mi ha presentato una cartella esattoriale di oltre 6mila euro per chiedermi le tasse sul risarcimento per il femminicidio di mia figlia: un risarcimento che io non ho mai ricevuto. È assurdo, ma noi non ci arrendiamo e faremo ricorso: non stiamo perseguitando un povero uomo, ma stiamo rispettando la sentenza che ha condannato l’assassino di Giulia». Una beffa, pesantissima, che si aggiunge alla tragedia immensa, l’assassinio della figlia. È ciò che stanno affrontando Giovanna Ferrari, Giuliano ed Elena Galiotto, rispettivamente madre, padre e sorella di Giulia, uccisa dal marito.

La tragedia

Nel 2009 Marco Manzini ammazzò la uccise a San Michele dei Mucchietti, frazione di Sassuolo. Le telefonò, adescandola con una scusa: le fece credere di doverle mostrare qualcosa e la colpì nove volte alla testa con una pietra. Dopo l’omicidio, Manzini gettò il corpo della moglie nel Secchia, per inscenarne il suicidio. E avvisò la famiglia, fingendosi preoccupato per la moglie.

La condanna

Per l’omicidio è stato condannato, in via definitiva, a 19 anni e quattro mesi di carcere; nel 2022, quindi dopo tredici anni dall’omicidio, ha ottenuto la semilibertà, venendo affidato in prova ai servizi sociali. E, tramite i propri legali, ha scritto ai genitori di Giulia, “offrendo” 50 euro al mese «in ottica di manifestazione della volontà di avvicinamento ad un’ipotesi di mediazione penale», ovvero una sorta di riavvicinamento tra le parti. La famiglia di Giulia ha respinto con forza la mediazione, poiché ha diritto per sentenza a un risarcimento pari a un milione e 200mila euro.

Il marito è libero

Manzini ha espiato completamente la sua pena a fine luglio del 2024. Gli ultimi tre anni, dal febbraio 2022, li ha trascorsi in regime di semilibertà, con la messa alla prova presso i servizi sociali. «Probabilmente l’uomo che ha ucciso mia figlia ha beneficiato dei riti premiali per buona condotta, poiché il periodo è stato ridotto a due anni e mezzo – afferma Giovanna Ferrari –. In quest’ultimo arco temporale gli era stato dato un impiego a tempo pieno e con un contratto a termine in un’azienda reggiana, dove svolgeva un lavoro analogo a quello che aveva prima dell’arresto. Poiché rimaneva da adempiere la parte risarcitoria della sentenza, avevamo ottenuto il pignoramento di un quinto dello stipendio che percepiva dall’azienda reggiana durante la messa alla prova. Alla fine del luglio scorso, da quando è un uomo libero, si è licenziato. Ad oggi non sappiamo se e dove lavori». Manzini risulta risiedere ancora a Reggio Emilia.

La beffa

«Io ho ricevuto una cartella esattoriale per oltre 6mila euro, anche Elena ne ha ricevuta una e così anche mio marito – continua Giovanna –. Abbiamo presentato ricorso contro l’Agenzia delle Entrate: la tassazione è riferita all’intera somma che, molto probabilmente, non riceveremo mai. Eppure, ci sono arrivate le tasse da pagare, nonostante abbiamo ricevuto, finora, cifre irrisorie».

Uno schiaffo in faccia

«Il fatto che si sia licenziato a pena conclusa, è uno schiaffo in faccia – aggiunge Giovanna, riferendosi a Manzini –. Che poi lo Stato arrivi a chiedere le tasse è assurdo, ma noi non molliamo e abbiamo presentato tre ricorsi, uno per ogni cartella esattoriale ricevuta». Il femminicidio di Giulia Galiotto ha avuto una presa collettiva potentissima sulla comunità, toccata da vicino in tutti i suoi componenti da questa tragedia, e i suoi famigliari rappresentano un esempio di forza e tenacia, nel calvario, anche giudiziario e fiscale, di tutti questi anni. «La violenza economica è anche nelle istituzioni – conclude Giovanna –. Istituzioni che esercitano verso i parenti che chiedono giustizia diritti come quello di ottenere le tasse su tutto il risarcimento. L’ho ripetuto spesso: i soldi non sono il nostro problema, per fortuna. Sappiamo, tuttavia, che diverse donne svantaggiate dal punto di vista economico non affrontano percorsi giudiziari come il nostro e rinunciano al risarcimento, proprio per il rischio di trovarsi in questa situazione». l

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