Morte di Papa Francesco, il ricordo della visita a Carpi e Mirandola 8 anni fa
Il 2 aprile 2017 Jorge Bergoglio arrivò in provincia di Modena e rese omaggio alla Bassa ferita dal terremoto: «Grazie per essere esempio di coraggio e dignità». Si congedò con un sorriso: «Non conoscevo gli emiliani, ma adesso capisco meglio i film di Peppone e don Camillo»
MODENA. Papa Francesco arrivava in provincia di Modena, il 2 aprile 2017, con quello stile semplice, e al tempo stesso potentissimo, che l’ha contraddistinto nei 12 anni del suo pontificato. Arrivava in una città, Carpi, pronta ad accoglierlo con una folla mai vista prima in piazza Martiri, in 50mila ad ascoltare l’omelia, davanti alla Cattedrale dell’Assunta appena riaperta. E soprattutto, arrivava in una terra che portava ancora vive le ferite del terremoto di 5 anni prima e che spinse il Pontefice ad allungare la visita carpigiana fino a Mirandola, per incontrare chi aveva perso famigliari, la propria casa o l’azienda, e per ricordare le 27 vittime. Bergoglio ringraziava i modenesi per essere «esempio di coraggio e dignità» perché da un lato aveva le macerie, quelle accatastate accanto all’ingresso del Duomo di Mirandola, ancora sorretto dai tubolari e dalle opere di messa in sicurezza, e di fronte migliaia di persone, che lo guardavano con compostezza e quell’orgogliosità che riguarda gli emiliani, e che pendevano da ogni sua parola, ogni frase, che illuminava come fasci di luce l’oscurità.
La visita a Carpi
L’atterraggio in elicottero fu alle 9.45 nel campo di rugby di Carpi: ad attendere il pontefice c’era il vescovo Monsignor Francesco Cavina e il sindaco di Carpi di allora, Alberto Bellelli. Fu un giorno di gioia, di sorrisi, di pianti liberatori. E di parole forti, come quelle pronunciate durante l’omelia davanti ai 50mila di Piazza Martiri: «È questo il cuore di Dio: lontano dal male ma vicino a chi soffre; non fa scomparire il male magicamente, - diceva il Papa - ma “con-patisce” la sofferenza, la fa propria e la trasforma abitandola». Quattro applausi in nove minuti. A portare l’offertorio con pane, il vino e acqua nell’altare al Santo Padre c’era una ragazzina particolarmente emozionata. Era arrivata in Italia qualche anno prima a bordo di una nave, e si era potuta liberare dalla prigione di un passato di povertà e prostituzione grazie alla comunità Papa Giovanni XXIII. Il 2 aprile 2017 è stato anche questo: riscatto. L’Angelus fu una esortazione a far gridare il proprio cuore, l’omelia a ritrovare coraggio e fortificarsi: «Anche Gesù è scosso dal mistero drammatico della perdita di una persona. Notiamo per piegava - continuava il Papa con voce ferma – che in mezzo alla desolazione per la morte di Lazzareno, Gesù non si lascia trasportare dallo sconforto. Pur soffrendo egli stesso, chiede che ci creda fermamente; non si rinchiude nel pianto, ma, commosso, si mette in cammino verso il sepolcro. Non si fa rassegnare dall’ambiente emotivo rassegnato che lo circonda». Parole e simboli scalfiti nella storia della città. C’era chi lo guardava coi binocoli dalle finestre spalancate e chi seduto sulle sedie imbastite nella piazza, attorno al largo corridoio centrale. Gli scout avevano dormito dentro alle parrocchie per essere in fila già dalle 4 del mattino, qualcuno passò la notte sotto i portici dentro un sacco a pelo. I 300 elementi del coro fecero la colonna sonora, religiosi e diaconi formarono un lunga fila con la quale salutarono l’arrivo e l’uscita di scena del Pontefice. Durante il giorno, Francesco benedisse le prime pietre di tre nuovi edifici della Diocesi di Carpi: la chiesa della parrocchia di Sant’Agata-Cibeno, la “Cittadella della Carità”, e la Casa di esercizi spirituali di Sant’Antonio in Mercadello di Novi di Modena. Poi, alle 12.30, il bagno di folla: la papamobile sfilò tra la gente entusiasta di Carpi, qualcuno riuscì a toccarlo e a farsi un selfie, attraversando corso Cabassi e svoltando poi verso piazzale Re Astolfo. Fu la festa di tutti, anche per i 60 ragazzi della scuola alberghiera Nazareno che cucinarono per il pranzo del Pontefice al Seminario.
La visita a Mirandola
Il viaggio verso Mirandola fu ricco di significato. Superato il Ponte Motta, Bergoglio si trovò davanti le dicotomie della Bassa di quegli anni: i palazzi dei centri storici rinnovati e riportati all’antica bellezza accanto agli angoli imbalsamati e mai toccati dopo la distruzione del sisma. Il Santo Padre procedette a bordo di una Golf Gt tra i fienili, le ville, le fabbriche rinate e i capannoni abbandonanti. Il pomeriggio a Mirandola iniziò poco dopo le 16, quando, entrato in Duomo, (un Duomo ancora massacrato dal terremoto), Bergoglio depose un mazzo di fiori in memoria delle vittime del sisma e, introdotto dal vescovo, lo abbracciò forte all’annuncio di Cavina dell’imminente inizio dei lavori, che saranno portati a termine due anni dopo. Poi, davanti a 2mila persone, tenne un discorso intriso di emozione, di valori, applaudito diverse volte, prima di concedersi un altro bagno nella folla, con centinaia di strette di mano, abbracci e autografi. La papamobile si diresse poi nella frazione mirandolese di San Giacomo, dove c’erano altrettante persone ad attenderlo, tra cui i Rulli Frulli che suonavano motivi sotto il campanile, per poi procedere con un’altra commemorazione al campetto parrocchiale per le vite spezzate dal terremoto. Mentre il potente elicottero scaldava i motori per riportarlo al Vaticano, intorno alle 17.30, il Pontefice si congedò con un sorriso: «Non conoscevo gli emiliani, ma adesso capisco meglio i film di Peppone e don Camillo».