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Pieve gremita per l’addio ad Antonio Gargano: l’ultimo gol con il gemello Carmine sul sagrato – Video

di Mattia Vernelli

	L'ultimo gol di Antonio e Carmine Gargano insieme
L'ultimo gol di Antonio e Carmine Gargano insieme

Una folla commossa ha partecipato al funerale del 45enne a Nonantola, noto attaccante del calcio dilettantistico modenese morto per un infarto. Dopo i ricordi degli amici ed ex compagni e le parole di don Alberto Zironi nell’omelia, il toccante momento voluto dal fratello fuori dalla chiesa per omaggiarlo

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NONANTOLA. Erano più di 600 le persone presenti al funerale di Antonio Gargano, leggenda del calcio dilettantistico modenese stroncato a 45 anni da un infarto nella notte tra lunedì e martedì scorso. Amici, parenti, ex compagni di squadra e dirigenti sportivi hanno gremito la pieve di San Michele Arcangelo a Nonantola. E ovviamente il gemello Carmine, che ha passato gran parte del rito funebre con una mano sulla bara.

L’ultimo gol insieme al gemello Carmine

Lui, più di tutti, non voleva lasciarlo andare. E ha voluto salutarlo alla sua maniera, come Antonio avrebbe voluto: sul sagrato della chiesa, Carmine gli ha passato un pallone che, rimbalzando contro la bara, è entrato in porta. Scroscio di applausi, occhi lacrimanti ad assistere alla perfetta rappresentazione di ciò che sono stati i “gemelli del gol”. Insieme hanno siglato 600 reti sommate dalla Terza Categoria fino alla Serie D. Una in più con quella di ieri: la più dolorosa, quella che non doveva essere realizzata così presto. Il cordoglio ha riunito tutte le società in cui ha militato, tra cui La Pieve Nonantola, squadra nella quale Antonio detiene ancora il record di top scorer a quota 104 reti.

Le parole del presidente de La Pieve

Matteo Masetti, presidente della società, ha preso parola sull’altare: «Antonio e Carmine per Nonantola sono il calcio. Il calcio quello buono, quello fatto dalla voglia di sfidarsi e di mettersi poi a sedere a bere una birra tutti insieme. Martedì 29 luglio La Pieve e tutto il mondo del calcio modenese si sono svegliati con una tragica notizia, quelle che mai avremmo voluto ricevere: è morto Antonio Gargano. “È uno scherzo?” Abbiamo pensato. No, purtroppo è vero. Non c’è più Garga, il nostro capitano. Ha vissuto la fascia come nessun’altro, perché così era il suo carattere: schietto, sincero, vero e responsabile. Non si tirava mai indietro. È stato un orgoglio per tutti noi. L’orgoglio è poi cresciuto quando nella vita quotidiana ti abbiamo apprezzato come figlio premuroso e amorevole per la mamma malata. Come lavoratore esperto, attento e preciso. Come amico disponibile e sempre presente con chi soffriva e chi si trovava in difficoltà. In diversi ti hanno avuto vicino nei momenti di sofferenza. Martedì ti hanno chiamato: è difficile capire il motivo o dare una spiegazione. Ciao “uragano Gargano”, grazie di tutto», le parole commosse di Masetti.

Il ricordo dell’amico ed ex compagno

Commuovente anche il ricordo di Riccardo Benedetti, amico ed ex compagno di squadra: «Ci siamo sempre cercati e protetti a vicenda, come una vera famiglia, siamo diventati l’uno il bastone dell’altro. Il calcio è sempre stato la nostra passione più grande e abbiamo raggiunto tantissimi obbiettivi: i tuoi 300 gol, 600 in coppia con Carmine. Nonostante l’atteggiamento a volte burbero, in realtà eri una delle persone più buone che io abbia mai conosciuto. L’amicizia per te era uno dei valori più grandi. Ricordo un giorno che mi chiesi una mano per svolgere un lavoro: “Sarà mezz’ora in tutto, basta sistemare due cavi”. Siamo rimasti più di 4 ore tra battute, risate e le storie che raccontavi che davano la spinta per finire il lavoro. In campo eri vulcanico, mettevi in riga tutti. Eppure, potevi vincere o perdere ma la birra con i compagni non mancava mai. Il gruppo per te veniva prima di tutto, sempre. Hai seminato tanto bene tra amici, compagni, e anche avversari. Ti ho sempre voluto bene e sempre te ne vorrò. Ciao Garga», ha concluso Benedetti.

L’omelia di don Alberto Zironi

Anche don Alberto Zironi lo conosceva personalmente: «Perché in questo modo? Perché adesso? È legittimo farci queste domande – ha detto il parroco di Nonantola nell’omelia –. Non lo sappiamo il perché. Ciò che è giusto chiederci è invece dov’è Antonio adesso. Il suo corpo, lo sappiamo, è stato fonte di vita anche per altre persone, perché i suoi organi sono stati donati. Vuole dire che se uno ama non muore. Tra le altre cose, Antonio ha predisposto tutto l’impianto luci dell’Abbazia. Io ero lì con lui quando facevamo quest’opera di aggiustamento. Senza lamentarsi saliva su un castello di più di 10 metri e con meticolosità svolgeva il suo lavoro. Pensiamo a questa luce, che è come il bene che ha fatto Antonio: senza fine».