Parla la madre di uno degli studenti picchiati: «Mio figlio a terra e preso a calci»
«Ora andremo a fare denuncia, grazie a una ragazza che si è fermata e si è messa in mezzo»
MODENA. All’uscita da scuola, a quattordici anni appena, i pensieri dovrebbero correre solo al pranzo che ti aspetta, e a un pomeriggio tra compiti, sport e amici. Non certo alla paura di pedalare più forte per scappare da un’aggressione. Eppure, a Modena, succede anche questo. Ed è successo a Luca (nome di fantasia per tutelarne l’identità, ndr), che venerdì scorso è rientrato a casa non con la leggerezza della fine delle lezioni, ma con dolori al costato, segni di calci e la memoria viva di una violenza gratuita. Il fatto si è consumato nei pressi del parco della Londrina. A raccontarlo, con lucidità e amarezza, è la madre del ragazzo.
Cosa è successo
«Mio figlio frequenta il liceo Corni delle scienze applicate — spiega — e ogni mattina fa il tragitto in bicicletta con dei compagni. Venerdì, verso l’una, stavano tornando a casa. Avevano imboccato la ciclabile e, arrivati all’altezza del parco della Londrina, a due passi dal Guarini e dal Wiligelmo, hanno svoltato per entrarci. All’improvviso sono spuntati una decina di ragazzi, quasi tutti vestiti di nero e incappucciati. Hanno iniziato a ridere e urlargli contro, ma non gli hanno detto di fermarsi, tant’è che i ragazzi hanno pensato che stessero scherzando. Poi, però, hanno cominciato a rincorrerli».
«Calci al costato»
E per Luca è stato impossibile tenere il passo: «Il giorno prima gli avevano rubato la bici, sempre davanti a scuola — continua la madre —. Così ne stava usando temporaneamente una vecchia, che non andava veloce come la sua. Due dei suoi amici sono riusciti a scappare, lui no. Lo hanno raggiunto, gli hanno preso lo zaino da dietro, e lo hanno fatto cadere a terra. Da lì sono partiti i calci al costato, senza dirgli “dammi questo” o “voglio quello”. Senza alcun motivo apparente. Non hanno rubato niente, e nemmeno ne hanno mostrato l’intenzione. Da quel che mi ha descritto mio figlio, sembrava una scena da “Arancia Meccanica”».
L’intervento decisivo
Un’aggressione cieca e senza spiegazioni, interrotta soltanto dall’intervento coraggioso di una ragazza: «Fortunatamente — racconta la madre — passava una ragazza in bicicletta, più grande di lui. Ha visto la scena, non ha esitato e si è messa in mezzo. Potevano prendersela con lei, e, invece, sono scappati. Poi, è arrivata un’altra signora che aveva visto la scena ed è accorsa ad aiutare. E infine la polizia, che ci ha chiamati e ci ha informati di quanto era accaduto. Se non fosse arrivata quella ragazza, chissà quante botte in più avrebbe preso nostro figlio». «Noi le abbiamo scritto una lettera di ringraziamento, e siamo qui per ringraziarla pubblicamente — continua — perché non tutti avrebbero avuto il coraggio di fermarsi. Lei sì. Ha incarnato alla perfezione le parole che la preside del Wiligelmo ha scritto nei giorni scorsi agli studenti: devono fare gruppo, aiutarsi e chiedere aiuto. Quella ragazza ha dimostrato che non bisogna restare indifferenti».
«Mio figlio non cambierà le sue abitudini»
Luca, intanto, accusa ancora dolore alle costole e lo spavento resta vivo. Ma, sottolinea la madre, non rinuncerà alla sua normalità: «Domani (oggi, ndr) tornerà a scuola e mi auguro che voglia andarci in bici, come sempre. Mio figlio non cambierà le sue abitudini. Non possiamo fare a questi disagiati il favore di piegarci o di assecondarli. Perché non è giusto che i nostri figli abbiano paura di andare a scuola». La famiglia, nel frattempo, si è già mossa per vie ufficiali: «Domani (oggi, ndr) andremo in Questura — aggiunge —. So che li stanno cercando, anche se erano incappucciati e nostro figlio non è riuscito a descrivere i loro volti. Faremo lo stesso la denuncia contro ignoti, perché queste cose non devono passare sotto silenzio. Dobbiamo essere tutti uniti nel difenderci e nel difendere gli altri. Non voglio dare soddisfazione a chi usa la violenza per intimorire. E quello che è successo a mio figlio mi auguro non succeda più a nessun altro. Il gesto di quella ragazza e le parole della preside ci mostrano la strada: non voltarsi, non restare soli, ma reagire insieme. Solo così — conclude — possiamo fare argine a chi semina paura».l