Il professor Federico assolto dopo 13 anni: «È la fine di un incubo»
Dopo quella per corruzione, in Appello è arrivata anche l’assoluzione per abuso d'ufficio: «Ma ho dovuto combattere anche fuori dalle aule di tribunale»
MODENA. Tredici anni: questo il periodo di tempo che è servito affinché Massimo Federico fosse dichiarato innocente. Tredici anni in cui il suo nome è finito sulle prime pagine. Tredici anni in cui è stato accusato di corruzione e abuso d’ufficio: reati poi rivelatisi infondati. Tredici anni in cui la verità sembrava difficile da raggiungere. E invece, giovedì la Corte d’Appello di Bologna ha messo la parola fine a quella lunga Odissea: assoluzione piena da ogni accusa. Un percorso iniziato nel novembre 2012, quando i carabinieri del Nas sigillarono il suo ufficio al Centro Oncologico Modenese, e che nel tempo ha trasformato la sua vita in un processo senza fine, tra aule giudiziarie e sospetti quotidiani. Già nel 2022 era caduta l’accusa di corruzione. Ora anche l’ultima ombra, l’abuso d’ufficio, è stata rimossa: nessuna colpa, nessun reato.
«Zero tituli»
«Di questa articolata e lunga vicenda giudiziaria non è residuato nulla: nessuna corruzione, nessun falso, nessun peculato. Zero tituli», dice oggi il professor Federico. «La mia vita professionale è stata sottoposta a dura prova per molti anni sono stato etichettato come corrotto e dato in pasto all’opinione pubblica, con centinaia di articoli e servizi televisivi. Ho dovuto difendermi non solo nelle aule di giustizia, ma anche al di fuori, perché un processo mediatico annienta quanto e più di un processo giudiziario».
Accuse infamanti
Le accuse erano pesanti: aver presentato sperimentazioni cliniche come “non profit” quando, secondo l’accusa, sarebbero state finanziate in modo occulto da aziende farmaceutiche; aver trattenuto il registro tumori; aver occupato con la Fondazione Italiana Linfomi gli spazi del Com senza contratto. Tutto smontato in anni di processi, carte, udienze. Fino alla verità: «Le assoluzioni che, via via, sono arrivate nel primo e nel secondo grado di giudizio sono state una soddisfazione enorme, e dimostrano che si può e si deve credere nella possibilità di far emergere la verità nelle aule giudiziarie. Nel mio caso, e per mia immensa fortuna, questo è avvenuto. Ci è voluto del tempo, ma la verità è stata finalmente ristabilita». Eppure, dietro la soddisfazione, resta la ferita: «Da parte mia è rimasta solo una profonda amarezza per essere stato trascinato fin quasi a essere travolto in un caso di mala giustizia».
«Chi risarcirà chi ha perso il posto»
Poi, il pensiero corre a chi ha condiviso questa lunga prova con lui: colleghi, ricercatori, collaboratori finiti nel tritacarne: «Molte persone, nel 2022 assolte nel processo di primo grado di corruzione, avevano già perso il proprio posto di lavoro o erano state messe ai margini delle aziende per cui lavoravano. Chi le risarcirà? Guardando loro, mi sento un miracolato, mi ritengo fortunato. Perché io ho potuto continuare a fare il medico, il professore, il ricercatore… ed è stata la volontà di continuare a curare le persone dal male peggiore del secolo, il cancro, a tirarmi su ogni giorno».
«No vax nel corpo dello Stato»
Continua: «Penso che sia giusto garantire autonomia alla Magistratura, ma la Magistratura italiana si deve munire di un sistema immunitario più efficiente, capace di produrre anticorpi e tenere in buona salute il proprio apparato giudiziario», sentenzia, con una metafora che solo un medico poteva scegliere: la giustizia come un corpo da curare, da vaccinare contro le sue stesse disfunzioni: «Gli amministratori di giustizia devono essere vaccinati e avere un buon sistema immunitario: non ci possiamo permettere di tenere no vax all’interno di un corpo dello Stato così importante».
«Non ho mai perso di vista i miei impegni»
E dietro le sue parole, rimane il volto di un uomo che ha attraversato 13 anni di sospetto e ne è uscito con la verità in mano, ma con cicatrici profonde. Un uomo che non dimentica, ma che ancora «crede nella ricerca, nella scienza, nella possibilità di guarire, anche quando la malattia si chiama ingiustizia. Non mi sono mai arreso e, pur nelle mille difficoltà, non ho mai perso di vista i miei impegni». Poi, un ultimo sospiro. Gli occhi scivolano di nuovo sul foglio che tiene in mano: lì, c’è il discorso che si è scritto per tenere a mente tutto ciò che in questi tredici anni non è riuscito a dire. Lo posa: «Ci è voluto del tempo, ma ora la verità è stata finalmente ristabilita».
