Minacce social a don Mattia Ferrari: ecco chi si cela dietro gli attacchi al sacerdote
Si tratta, come rivelato dal quotidiano Avvenire, di Robert Brytan: «È un dirigente informatico vicino alla guardia costiera europea». La procura ha chiuso le indagini, il processo si aprirà il 5 novembre
MODENA. Ci sarebbe un dirigente informatico con accesso all’archivio riservato di Frontex, Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, dietro ai profili social che minacciavano don Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea impegnato nella difesa dei migranti. Si tratta, come rivelato dal quotidiano Avvenire, di Robert Brytan, nato in Polonia, residente in Germania ma con cittadinanza canadese: qui, in Canada, ha lavorato presso la guardia costiera, per poi rientrare in Europa come assistente, inizialmente, di un europarlamentare polacco. Ad oggi, Brytan lavora per una società di software collegata a Frontex, avrebbe anche accesso al suo archivio riservato in quanto “Direttore del Dipartimento Data Center presso Asseco Business Solutions”.
«Risultato molto importante»
Ma in ballo pare esserci molto di più del caso legato a don Ferrari. «Si tratta di una vicenda che va oltre quella di don Mattia Ferrari – ha spiegato ad Avvenire l’avvocato Francesca Cancellaro, legale del cappellano di Mediterranea – L’account X (ex Twitter ) controllato da Brytan, @rgowans, ha suscitato interesse a livello nazionale e internazionale, visti i documenti ufficiali e riservati a proposito dei rapporti tra Italia e Libia che ha diffuso». La procura di Modena, che sta indagando sul caso dall’aprile del 2022, quando Ferrari ha sporto denuncia, ritiene quindi di avere sufficienti elementi per un processo, che si aprirà il 5 novembre. «Si tratta di un risultato molto importante ottenuto dopo una richiesta di avocazione, una di archiviazione, una imputazione coatta, la richiesta di emettere un ordine di indagine europeo e numerosi ulteriori passaggi procedurali» ha spiegato ancora l’avvocato.
Tutto è nato quasi quattro anni fa
Determinante per le indagini, che si sono mosse in ambito internazionale, è stato anche il lavoro di JlProject, collettivo che porta avanti indagini forensi per aiutare legalmente le persone catturate in mare e respinte in Libia. Tutto risale all’aprile di quasi 4 anni fa, quando don Mattia Ferrari rese noto di aver denunciato quelle minacce subite su X: «Periodicamente questo account portavoce della mafia libica minaccia chi aiuta i migranti. Il 31 marzo hanno minacciato pesantemente anche me. Il problema vero è che questo account non è solo portavoce della mafia libica, ma è legato a servizi segreti deviati di diversi Paesi: ogni tanto pubblica foto degli aerei militari di Frontex, documenti riservati e segreti di alti livelli di apparati statali e militari italiani».
Poi, nel dicembre dello stesso anno, scoppiò la bufera per alcuni passaggi contenuti nella richiesta di archiviazione. In particolare uno, in cui il pm scriveva che l’esposizione mediatica sui social provoca reazioni specie se «chi porta il suo impegno umanitario (e latamente politico) sul terreno dei social o comunque del pubblico palco – ben diverso dagli ambiti tradizionali – riservati e silenziosi – di estrinsecazione del mandato pastorale».
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