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La tragedia

Ricostruiti gli ultimi minuti prima dell’omicidio-suicidio di Mirandola

di Daniele Montanari
Ricostruiti gli ultimi minuti prima dell’omicidio-suicidio di Mirandola

L’86enne aveva appena tolto la vita alla consorte ammalata

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MIRANDOLA. Dopo aver tolto la vita alla moglie, Giuseppe Campi voleva essere certo di morire anche lui. Per questo ha “studiato” il modo per essere certo che la caduta dal terzo piano non gli lasciasse scampo.

La caduta fatale

È quanto emerge dagli accertamenti sulla duplice tragedia che si è consumata sabato 11 ottobre a Mirandola: un nuovo caso di omicidio-suicidio in cui l’86enne ha strangolato la moglie 84enne Fedora Pedrazzi mentre era sul divano per poi lanciarsi nel vuoto, dal terzo piano del condominio in via San Faustino 29 in cui vivevano. Si è gettato dal balcone, ma non è stato un semplice sporgersi e lasciarsi cadere: Giuseppe è salito su una piccola scala per darsi una spinta maggiore.

L’ha fatto perché altrimenti con una caduta perpendicolare dal balcone sarebbe finito con tutta probabilità sul terreno del giardino condominiale. L’erba e la terra avrebbero attutito l’impatto della caduta, che sarebbe senz’altro stata grave da quell’altezza, ma forse non mortale. Invece, salendo sulla scaletta ha potuto lanciarsi nel vuoto e così finire più avanti sul selciato della rampa del garage sotterraneo, che ha aggiunto altri metri alla caduta e soprattutto il duro cemento che non poteva dare scampo. Così è stato anche infatti: è morto sul colpo, andandosene così assieme alla sua Fedora.

È stato un bimbo di 5 anni a scoprire il corpo disteso di quello che per lui era “nonno Beppe”: ha chiamato la mamma 37enne ed è stata lei ad accorrere in soccorso, rendendosi poi conto subito che purtroppo non c’era più niente da fare. Questo poco dopo le 8, ma è possibile che la caduta e l’omicidio della moglie siano avvenuti anche verso le 3 o le 4, quando era ancora notte.

Il biglietto

La certezza è che Giuseppe ha studiato il suo ultimo gesto per essere sicuro di morire. Come aveva detto anche a un vicino, non riusciva a immaginare una vita senza la sua amata Fedora, con cui aveva formato una coppia sempre affiatatissima. Una coppia che era ancora dinamica per l’età, visto che fino a poco tempo fa i due uscivano ancora in bicicletta. Poi la malattia silenziosa che attanagliava lei, la demenza senile, si è fatta sempre più grave e sono sopraggiunti anche i problemi legati ad alcune brutte cadute, che avevano limitato la mobilità della donna. Che però, anche se lentamente, camminava ancora.

Giuseppe è sempre rimasto premurosamente vicino a Fedora anche in questa condizione di progressiva fragilità, poi si vede che il peso della situazione – nonostante che la figlia venisse praticamente tutti i giorni a fare loro visita e chiedere se avevano bisogno – si è fatto per lui insopportabile, insieme ai timori per il futuro. E così ha pensato di farla finita per entrambi, con la stessa dinamica vista quattro giorni prima, il 7 ottobre, a Castelfranco, dove il 92enne Enzo Manzini ha sgozzato la moglie 88enne Maria Capitati, affetta da Alzheimer, e poi si è gettato nel vuoto. Non è da escludere che, vista la vicinanza delle due tragedie, la notizia abbia avuto un effetto in qualche modo suggestivo, facendo esplodere stanchezza e paure.

È confermato comunque che Giuseppe ha lasciato un biglietto in cui ha spiegato alla figlia le motivazioni di questo suo duplice tragico gesto, da ricondurre sostanzialmente al peso dei problemi di salute della moglie, che però non avrebbe mai voluto abbandonare. Ecco dunque il pensiero di farla finita insieme, così come era successo a Castelfranco. Probabilmente la donna è stata strangolata nel sonno, senza avere il tempo di accorgersi di nulla. Il biglietto conferma la lucidità con cui l’anziano ha agito nel silenzio del suo dramma interiore.

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